Giovanni Falcone, Paolo Borsellino. Dopo trent’anni, Roma non dimentica

Roma Capitale ha voluto ricordare tutte le vittime di mafia e in particolar modo i due magistrati siciliani con un convegno in Campidoglio.

L’incontro si è aperto con un video in ricordo delle vittime di mafia. Nel suo intervento l’ex magistrato Giancarlo Caselli ha ricordato come Falcone e Borsellino siano diventati eroi soltanto dopo la morte, prima i due subirono diversi attacchi e accuse infamanti. La ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, ha ricordato che le stragi sono state il peggior investimento per le mafie, 2 agosto 1991 per la prima volta si scioglieva un consiglio comunale per infiltrazione criminalità organizzata. Norma voluta da Falcone e Borsellino, da allora 370 comuni sono stati sciolti.

Il magistrato Nino di Matteo nel suo intervento ha parlato della consapevolezza che le stragi siano uno snodo fondamentale della nostra recente storia: “Gli effetti di quelle stragi hanno prodotto frutti avvelenati. Le indagini e i processi hanno portato a risultati importanti e non era scontato. Non dobbiamo cedere alla tentazione di rappresentare quei delitti come vendetta dei boss di cosa nostra, non fu solo vendetta e probabilmente non fu solo cosa nostra. Falcone da vivo fu oggetto di invidie, calunnie. La sua è una storia di costanti sconfitte, le stragi di Capaci e di via D’Amelio non sono isolate, Capaci fu la prima di 7 stragi dal maggio ’92 al gennaio ’94, quando ci fu l’attentato fallito allo stadio Olimpico a Roma. Capaci è stato il primo e finora l’unico attentato realizzato attraverso un’esplosione che ha colpito un convoglio di auto blindate in movimento. Particolarmente difficile da realizzare. Rispetto al programma originario di uccidere Falcone a Roma, il piano improvvisamente subì una modifica e Riina e gli altri capi richiamarono i componenti del commando romano a Palermo perché doveva essere ucciso a Palermo e con le modalità con cui è stato ucciso. La strage subì una improvvisa accelerazione rispetto a un generico programma di uccidere Borsellino. Capire le cause contingenti di quella accelerazione,” continua Di Matteo, “significherebbe indirizzarci verso una comprensione più completa del delitto. Falcone aveva assunto un ruolo “politico” al ministero della giustizia. Con una visione alta del fenomeno mafioso aveva ispirato riforme importanti all’ordinamento penitenziario, fu ispiratore del principio del doppio binario che distingueva le regole per i processi di mafia da quelle di accertamento, fu ideatore delle leggi del 1991 istitutive della direzione nazionale antimafia e gli stessi mafiosi dissero che Falcone stava facendo più danni a Roma che a Palermo. Alcuni esponenti dello Stato ammisero, più tardi, di aver fatto chiedere a Riina cosa volesse in cambio della strategia del terrore, quella interlocuzione rafforzò in Riina la convinzione che la sua strategia fosse vincente. L’obiettivo della mafia era,” ricorda Di Matteo, “l’abolizione dell’ergastolo, l’abolizione del 41bis, la modifica della legge sui pentiti, la concessione dei domiciliari ai mafiosi ultra 70enni. Troppi dubbi nella ricostruzione di queste 7 stragi, in 30 anni il sogno di Falcone è stato deluso, tradito, ingannato. Falcone fu vittima di un sistema che privilegiava, nel sistema del CSM, logiche legate all’influenza della politica sull’autogoverno della magistratura. Le cronache odierne” conclude il magistrato siciliano, “dimostrano come la magistratura non si riuscita a sconfiggere questo male che la divora. Si sente dire spesso che Le riforme in cantiere possono sconfiggere il male, a mio avviso non è così. Le riforme recentemente approvate nel tempo temo creino una figura di magistrato burocrate, attento ai numeri piuttosto che la qualità del suo lavoro. Un magistrato timoroso. Involontariamente si sta realizzando il sogno di Cosa nostra”.