Il governo forza la mano, l’azienda entrerà in amministrazione straordinaria.
L’ex Ilva si appresta ad entrare in amministrazione straordinaria: nelle prossime ore, il governo nominerà i commissari straordinari (ma potrebbe trattarsi di un unico incaricato). Dopo l’incontro a Palazzo Chigi con le imprese dell’indotto e con i sindacati dei metalmeccanici, e visto lo stallo di tutte le trattative con ArcelorMittal, l’Esecutivo ha deciso di forzare la mano per cambiare il pacchetto di maggioranza. La procedura di amministrazione straordinaria, quindi, prevarrà su quella di concordato preventivo avviata da Acciaierie d’Italia. L’azienda, al momento, avrebbe un bilancio in rosso per circa 700 milioni di euro.
Il governo, nell’incontro a Palazzo Chigi con le imprese dell’indotto, per salvaguardare la continuità produttiva dell’impianto e tutelare aziende e lavoratori, ha spiegato di voler introdurre un ammortizzatore sociale unico. ArcelorMittal, che tramite Acciaierie d’Italia è azionista di maggioranza dell’impianto siderurgico d’Italia, ha già protestato per la decisione del governo, dopo che Invitalia (azienda pubblica e socio di minoranza) ha avanzato ufficialmente la richiesta di amministrazione straordinaria al Ministero delle Imprese e del Made in Italy. “Siamo sorpresi da questa decisione“, il commento di AdI.
Il commissario straordinario, fanno sapere dal governo, sarà scelto tra figure con competenze specifiche nel settore siderurgico e con conoscenze dirette degli impianti. Con l’amministrazione straordinaria, l’Esecutivo punta a ottenere i documenti per avere maggiori informazioni su quali e quanti sono i creditori dell’azienda. E solo successivamente, partirebbe la ricerca di un nuovo soco privato disposto a investire nel rilancio dei poli produttivi dell’ex Ilva, non solo a Taranto. Proprio a tal proposito, il ministro Adolfo Urso ha spiegato che ci sarebbero diversi investitori interessati, sia italiani che esteri. Per questo si punta a organizzare una gara in tempi rapidi.
Considerando anche l’indotto, dietro l’impianto siderurgico di Taranto, il più grande d’Italia, ci sarebbero circa 20mila lavoratori. Le aziende hanno chiesto al governo alcune forme di sostegno, che saranno verificate costantemente fino a quando il tavolo di confronto resterà aperto. Il decreto legge del gennaio scorso fornisce garanzie (tramite Sace) per le aziende creditrici e potrà essere ulteriormente migliorato in fase di conversione in Parlamento. L’ostracismo di Acciaierie d’Italia, che ha messo un veto totale sulla documentazione, impedisce di conoscere la reale situazione creditoria o debitoria dell’ex Ilva. E questo, di certo, non attrae investitori.
La mossa del governo ha soddisfatto i sindacati, che da mesi chiedevano l’intervento pubblico per rilanciare l’impianto, ma non basta a spegnere le preoccupazioni per il lavoro.
“Tra qualche ora la gestione sarà statale, ci sarà un prestito ponte di 320 milioni di euro per mettere in sicurezza gli impianti e programmare nuovi investimenti“, fa sapere Rocco Palombella (Uilm).
“Siamo alla fine dell’era Mittal, abbiamo sempre sostenuto che la situazione era drammatica e urgente. Abbiamo chiesto di modificare il decreto in sede di conversione per garantire non solo la continuità occupazionale, ma anche quella produttiva”, il commento di Michele Di Palma (Fiom).
“Ci hanno garantito che la fase Mittal in Italia è chiusa, abbiamo garantito al governo la disponibilità al confronto e chiesto garanzie per aziende e lavoratori“, ha spiegato invece Roberto Benaglia (Fim Cisl).