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Ex Ilva, tutti contro ArcelorMittal. Melucci: “Il governo ci ha esclusi”

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Si va verso il ‘divorzio consensuale’ con il colosso siderurgico indiano. Anche Peacelink non risparmia attacchi al governo (e a quelli precedenti): “Lo Stato non può finanziare il lavoro che uccide, perché non hanno mai parlato dei debiti?”.

Dopo la rottura, tutti contro ArcelorMittal mentre il futuro dell’ex Ilva è sempre più incerto. La multinazionale franco-indiana, che ha respinto la proposta di un aumento di capitale con passaggio da socio di maggioranza a socio di minoranza, ora viene attaccata da più fronti: governo, opposizioni, sindacati e cittadini di Taranto. Anche se non mancano le polemiche su ciò che è stato fatto negli ultimi mesi e anni, e che ha portato alla situazione attuale.

Ex Ilva, verso il ‘divorzio consensuale’

Ora, il governo deve decidere sul da farsi e il futuro dell’ex Ilva si snoda su due possibili direzioni: amministrazione straordinaria o amministrazione controllata. Prima, però, occorre definire l’uscita di ArcelorMittal: si lavora ad un ‘divorzio consensuale’ per evitare rischi di contenziosi futuri, garantendo però la continuità aziendale e produttiva.
Intanto, dopo l’incontro di ieri, i sindacati sono stati convocati di nuovo a Palazzo Chigi: appuntamento giovedì 18 gennaio, con il governo che ha assicurato di voler ascoltare tutte le istanze delle parti sociali e produttive. Quando sarà risolto il confronto con ArcelorMittal, verrà aperto al Ministero del Lavoro un tavolo sull’occupazione e sulla sicurezza dei lavoratori. “Finalmente il governo ha deciso di non tornare indietro e di procedere ad assumere la gestione dell’azienda. Su questo punto abbiamo insistito per salvaguardare l’occupazione e l’ambiente” – il commento positivo di Michele De Palma, segretario della Fiom – “Conciliare, specialmente ora, lavoro, salute e ambiente è complicato. Si apre però un nuovo tema, i lavoratori non possono pagare per le scelte sbagliate dei manager“.

Ex Ilva, tutti contro ArcelorMittal

Gli attacchi ad ArcelorMittal, intanto, proseguono e si intensificano. A criticare la multinazionale siderurgica sono in primis gli esponenti di governo, di fatto rimasti ‘con il cerino in mano’, ma non solo.
Il governo lo ha confermato: ArcelorMittal è fuori e indietro non si torna. Finalmente il governo ha capito che lo Stato deve tornare a gestire l’azienda” – il commento unanime dei principali leader sindacali – “Ora la cosa più importante è garantire la continuità produttiva“.
Piccolissimo passo in avanti del governo verso la fuoriuscita di una multinazionale che continua ad assumere atteggiamenti inqualificabili all’interno della fabbrica. L’ulteriore rinvio dell’accordo tra i due soci di Acciaierie d’Italia, anche se di una settimana, è inaccettabile perché grava sulle spalle dei lavoratori che oltre ai ritardi nei pagamenti non si vedono rinnovare i contratti” – il commento di Enzo Mercurio, coordinatore dell’Usb di Taranto – “Il governo deve dare certezze e lavorare per garantire rispetto a lavoratori e cittadini. Lavoro e salute sono due diritti imprescindibili da tutelare. Ogni secondo che si perde è un’occasione persa“.
Nessuno può gestire una fabbrica così, siamo ancora qui a ricordare ogni passaggio della storia, ma la questione è che l’Ilva chiuderà. La mia reazione istintiva è metterla in amministrazione straordinaria e rifare una gara, ma è una posizione teorica perché non so se c’è una penale o il rimborso degli investimenti sostenuti” – il monito di Carlo Calenda, leader di Azione – “Mettere altri soldi con Mittal dentro, ma senza un contratto blindato come all’inizio, è una follia visto che è un socio che non ha più interesse a far funzionare l’impianto. Non si può restare ostaggio di Mittal che avrà diritto di veto su ogni materia anche se in minoranza. Il rischio più grande è che non ci sarà più né la produzione né l’ambientalizzazione“.
Sostenere che la crisi industriale e occupazionale derivi dal fatto che sia stata levata l’immunità penale è una bugia. In nessuna parte del mondo un’attività produttiva opera con la garanzia dell’immunità penale, tanto meno in quei paesi dove opera ArcelorMittal. In Italia si è voluto creare un precedente inaccettabile, degno di un Paese incivile” – il punto di Angelo Bonelli, deputato di Alleanza Verdi-Sinistra – “L’immunità penale era necessaria per evitare che le responsabilità di altri ricadessero su ArcelorMittal? Ricordo che per la nostra Costituzione e il nostro codice panel, la responsabilità penale è personale. Chi ha portato alla crisi di oggi non è l’assenza dello scudo penale, tra l’altro riattivato dal governo Meloni, ma l’inadeguatezza di una classe politica incapace di costruire un approccio basato su bonifiche e conversione industriale secondo i modelli virtuosi in Europa, come Bilbao o la Ruhr, o come Pittsburgh negli Usa. Dopo aver scaricato e dimenticato il dramma sanitario e ambientale, è stato scaricato anche il diritto al lavoro“.

Melucci: “Il governo ci ha esclusi”

Mentre tutti si scagliano contro ArcelorMittal, c’è chi non risparmia critiche al governo. Come Rinaldo Melucci, che fa il quadro di una situazione definita “drammatica“.
Il disimpegno di ArcelorMittal ha portato le banche a bloccare le anticipazioni di liquidità alle imprese dell’indotto. Bisogna intervenire anche a garanzia del sistema bancario perché rischiamo che si fermi tutta la città. Siamo sempre più convinti che il futuro dell’ex Ilva possa essere assicurato solo con la trasformazione energetica, ma il governo ci ha escluso dai tavoli” – ha spiegato il sindaco di Taranto – “Il ministro Urso conosce le nostre proposte, serve un accordo di programma in cui la parte pubblica assuma un ruolo da protagonista per attuare il piano di transizione ecologica messo a punto da Franco Bernabè. L’unico progetto che può affrontare in un decennio tutti i nodi: decarbonizzazione, rilancio della produzione, ricollocamento del personale in esubero e ricadute sulla città e sul territorio, partendo dal rispetto delle sentenze della Corte europea dei Diritti dell’Uomo e utilizzando i fondi del Just Transition Fund“.

Peacelink: “La lotteria dei tumori deve finire”

A criticare il governo, ma anche la posizione dei sindacati, c’è anche Peacelink, associazione ambientalista e pacifista tarantina. “La lotteria dei tumori deve finire e soprattutto non deve pagarla lo Stato. Sull’ex Ilva troppe cose non vengono dette: l’azienda ha debiti commerciali per 1,4 miliardi di euro; l’attività produttiva continua ad essere portata avanti in perdita è quindi l’acciaieria è tecnicamente decotta; l’impatto sulla salute è talmente elevato che finora nessuna Valutazione del Danno Sanitario è risultata accettabile dal punto di vista epidemiologico; chiunque guidi l’acciaieria è sotto la Spada di Damocle della magistratura; le emissioni inquinanti di benzene e di polveri sottili sono aumentate negli ultimi due anni; le norme europee vietano gli aiuti di Stato all’azienda” – ha spiegato il presidente, Alessandro Marescotti – “Ancora una volta i sindacati, invece di salvare il lavoro degli operai, puntano a salvare l’azienda. Rifinanziare un’azienda in perdita significa solo rinviare di qualche mese il problema, sprecando altro denaro sottraendolo ai lavoratori, alla riconversione e alla bonifica ambientale“.

Peacelink: “Taranto vuole un futuro diverso” 

Questa linea sindacale è perdente e non suscita alcuna solidarietà della città, che vuole un futuro diverso. Saremo in piazza con i sindacati quando chiederanno la riconversione” – ha aggiunto il presidente di Peacelink – “Gli operai devono farsi carico degli obiettivi di un’alleanza più larga, puntando sul sostegno della città che vuole un cambiamento. E i cittadini di Taranto, in particolare, non vogliono più avere mille nuovi casi di cancro all’anno“.

Ex Ilva, Peacelink: “I ministri tacevano sul debito”

L’affondo di Peacelink contro il governo (non solo quello attuale) non si ferma qui. “Viene dipinto un cattivo, ArcelorMittal e un buono, il governo. In mezzo i lavoratori, minacciati dal cattivo, mentre il governo sta facendo l’impossibile per salarli. Perché in tutti questi anni i ministri tacevano sulle bollette del gas non pagate e sui debiti commerciali che hanno raggiunto livelli non più gestibili?” – ha aggiunto Alessandro Marescotti – “La comunicazione al grande pubblico della crisi Ilva è una narrazione mediatica semplificata e distorta. Chi pagherà questi debiti? I sindacati informavano i lavoratori? Questa storia poteva durare all’infinito? In tanti stavano zitti e facevano finta che si potesse andare avanti così, contro ogni principio economico“.

Peacelink: “Lo Stato non finanzi il lavoro che uccide” 

Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink, fa poi una puntualizzazione sull’intervento statale: “Nazionalizzare significherebbe pagare con i soldi dello Stato la prosecuzione di un danno all’erario e alla salute. Sono anche disposto a versare le mie tasse per mantenere il lavoro, ma deve essere un lavoro utile socialmente, che non uccida nessuno“.

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