
I dati relativi alla produzione di CO2 e altri gas climalteranti sono una delle ragioni per cui l’Ue, Italia compresa, non dovrebbe puntare a politiche troppo ambiziose come quella del Green Deal.
Le ragioni che portano all’inazione climatica possono essere molteplici. Ce ne sono alcune francamente inaccettabili, come il negazionismo della crisi ‘tout-court’, e altre che a seconda dei punti di vista possono essere più o meno condivisibili. In linea generale, comunque, in tutto il mondo i partiti più progressisti tendono ad avere particolarmente a cuore la necessità di mitigare la crisi del clima, mentre quelli conservatori privilegiano le ragioni dell’economia su quelle dell’ambiente.
Non è tutto bianco o tutto nero. Le soluzioni che dovrebbero portare alla mitigazione, ma anche all’adattamento rispetto alla crisi climatica, sono piuttosto variegate. Una della più ambiziose, a livello globale, è senza dubbio il Green Deal europeo, che punta a ridurre le emissioni di gas climalteranti nell’Ue fino a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. L’Unione europea ha deciso di adottare politiche climatiche ambiziose e stringenti, ma che presto potrebbero essere riviste al ribasso. Salvo sorprese, le prossime elezioni europee potrebbero vedere un successo dei partiti di destra e centro-destra, ed una maggioranza del genere ha già annunciato di voler affossare il Green Deal Ue.
Possono esserci delle ragioni dietro la decisione di varare norme meno stringenti, ad esempio sulle ‘case green‘ o sullo stop alla vendita di auto a combustione interna entro il 2035. La prevalenza dell’interesse economico su quello ambientale ne è un chiaro esempio, anche se non l’unico. C’è anche chi sostiene che le misure più ambiziose dal punto di vista climatico debbano essere prese in primis dai Paesi più inquinanti, come ad esempio Cina, India e Stati Uniti. E che l’Ue, da sola, non può adottare politiche climatiche così imponenti da mettere a rischio l’economia.
“Non si può negare il cambiamento climatico.”#PresaDiretta è andata nei luoghi colpiti dall’alluvione emiliano-romagnola. A che punto è la ricostruzione? I soldi stanziati dal governo sono sufficienti?
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— Presa Diretta (@Presa_Diretta) September 5, 2023
Nell’ultima puntata di Presa Diretta su Rai 3, dedicata al cambiamento climatico e ai suoi devastanti effetti (in particolare in Emilia-Romagna), c’è stato anche un intervento di Nicola Procaccini, europarlamentare e responsabile Ambiente ed Energia di Fratelli d’Italia. Come dimostra quest’intervista di alcuni mesi fa, Procaccini è un politico pragmatico e preparato, assolutamente idoneo al ruolo che ricopre in Fdi e di certo non può essere definito un negazionista della crisi climatica (a differenza di altri colleghi di partito). Eppure, il nuovo capogruppo dell’Ecr al Parlamento europeo ha criticato così il Green Deal Ue impostato dalla Commissione guidata da Ursula von der Leyen: “Le misure sono troppo stringenti e mettono a rischio l’economia italiana ed europea, quando l’Ue, da sola, emette meno dell’8%“. E questo dato, preso in termini assoluti, è anche in lento ma costante calo.
Una frase, quella di Nicola Procaccini, che però non è del tutto corretta. Lo sarebbe se considerassimo i singoli Paesi o enti sovranazionali come dei sistemi totalmente chiusi. In un mondo sempre più strettamente interconnesso, vincolato da intensi legami commerciali anche tra economie estremamente diverse, non è possibile considerare esclusivamente la produzione interna per calcolare le emissioni di CO2 e altri gas climalteranti.
Si parla sempre molto della Cina, vista come il male assoluto in termini di inquinamento e di impatto ambientale. Dimenticando, però, che la produzione industriale della Cina non è destinata solo al mercato interno. L’alta domanda di beni dal gigante asiatico, infatti, è responsabilità di tre partner commerciali principali: Stati Uniti, Unione europea e, in termini minori, Giappone.
Spesso si considerano i soli dati delle emissioni di CO2 legate alla produzione interna. Dati essenziali, ma non del tutto esaurienti. Perché, nella maggior parte dei casi, viene tralasciata la quota di CO2 pro-capite per Paese (che ad esempio fa crollare i dati dell’India per via dell’enorme numero di abitanti) e, soprattutto, la quota di CO2 trasferita con il commercio.
In estrema sintesi: la produzione di CO2 di alcuni dei Paesi più inquinanti, come la Cina, dipende strettamente dall’enorme richiesta di beni dalle economie più sviluppate e industrializzate, tra cui la nostra. Se davvero pretendiamo che la Cina adotti politiche climatiche efficienti e ambiziose, forse dovremmo prima rivedere le nostre abitudini di consumo. Ma siamo davvero disposti a farlo?