
L’attuale situazione internazionale rende difficili le collaborazioni scientifiche. Ma la chiusura della scienza potrebbe rallentare il progresso sui temi ambientali
Dovevano partire il 23 marzo per l’Artico con lo scopo di studiare e monitorare i cambiamenti del permafrost. E invece diversi scienziati dell’Università di Stoccolma, del Politecnico di Tomsk in Russia e dell’Istituto di Scienze Polari di Venezia dovranno rimanere nei propri laboratori.
Il motivo? Le relazioni quanto mai complesse tra gli stati europei e il governo di Mosca dopo la decisione russa di invadere l’Ucraina.
La Russia, sotto la cui giurisdizione cade circa la metà delle terre artiche, non può più essere terra di studio per gli scienziati occidentali. E le collaborazioni tra gli studiosi russi e quelli di Italia e Svezia non più praticabili, almeno nel breve periodo.
A pagarne le conseguenze è la scienza che studia i cambiamenti climatici. E dunque noi tutti e il nostro futuro.
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Lo stop alla ricerca sul permafrost
La missione che da anni tiene sotto controllo il livello dell’oceano e la quantità di gas che si sta sprigionando ha le centraline di analisi in territorio russo. Non c’è da stupirsi dunque che la collaborazione tra università russa e quelle occidentali sia stata bloccata improvvisamente.
Eppure quegli studi sono fondamentali per il futuro della Terra. L’Artico, infatti, è il secondo più grande deposito di carbonio del mondo dopo l’Amazzonia.
Il permafrost, cioè il terreno perennemente ghiacciato che è tipico della zona artica, immagazzina una quantità enorme di carbonio che con l’aumento delle temperature e lo scioglimento dei ghiacci verrà rilasciato.
Conoscere le tempistiche di questo processo ci aiuterà a capire se è possibile porre un rimedio o quanto meno come adattarsi.
La scienziata Susan M. Natali, direttrice del programma artico e che doveva guidare il team di scienziati della missione abortita, ha spiegato che “l’Artico è una delle riserve di carbonio più grandi e vulnerabili del Pianeta e averne i dati è essenziale”.
Se gli scienziati non si parlano è un problema per tutti
Lo stop a missioni scientifiche come quelle programmate in Artico e poi abortite a causa del conflitto in Ucraina rappresentano – è il caso di dirlo – solo la punta dell’iceberg di un problema assai più grande.
Le grandi scoperte scientifiche anche nel campo della climatologia e degli adattamenti dell’essere umano ai cambiamenti climatici sono strettamente correlate a una collaborazione internazionale che nei fatti è venuta a mancare.
Un ritorno al protezionismo scientifico tipico della guerra fredda, però, avrebbe delle conseguenze catastrofiche se applicato a campi come quello dell’analisi dei cambiamenti climatici.
La collaborazione scientifica internazionale non può prescindere dalla partecipazione degli studiosi russi o, ancor di più, dalla possibilità per gli scienziati occidentali di accedere a dati e luoghi che si trovano fisicamente in territorio russo.
Il rischio è serio: potremmo arrivare in ritardo a trovare soluzioni a ciò che sta accadendo alla Terra.
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