In Italia siamo ancora restii a parlare di educazione sessuale nelle scuole, eppure il nostro non è l’unico Paese dove mancano misure ad hoc
In Italia, l’educazione sessuale è considerata ancora oggi un argomento “scomodo” da trattare, in particolare nelle scuole e nelle fasce di età più piccole. Eppure quando parliamo di educazione sessuale, non facciamo riferimento solo al sesso, ma a qualcosa di più complesso, come ha spiegato la formatrice e pedagogista Giovanna Giacomini, ospite di CrescimiTu.
“Quando facciamo educazione all’affettività e sessualità – ha detto Giovanna Giacomini – dobbiamo ricordarci che stiamo aiutando bambini e ragazzi a scoprire chi sono. Chi sono io, chi è altro, come entro in relazione con i miei simili, qual è la mia sfera di intimità, come posso poi proteggermi e tutelami, quindi ci sono veramente un sacco di tematiche, che non sono solo il sesso. Purtroppo c’è questa equivalenza: si fa educazione sessuale e stiamo spiegando a bambini e ragazzi il sesso, che sono due cose diverse. Infatti mettiamo davanti la parola educazione che fa la grande differenza, perché educare fa parte del nostro compito genitoriale e di qualsiasi professionista”
Eppure l’Italia non è l’unico Paese ad essere indietro sul tema dell’educazione sessuale. Secondo il Global Education Monitoring Report-GEM dell’Unesco che ha esaminato cinquanta nazioni, solo il 20% ha una normativa sull’educazione sessuale e solo il 39% ha iniziative specifiche al riguardo: “Se già parliamo di Paesi che danno la disponibilità ci rendiamo conto di un aspetto drammatico – ha spiegato Giacomini – e cioè che non ci sono dei programmi a livello nazionale. Manca una normativa di riferimento e manca poi la declinazione di questa normativa all’interno delle agenzie educative di eccellenza come la scuola. Purtroppo anche noi facciamo parte di questo processo e cioè del fatto che, a seconda delle zone, ci sono delle differenze enormi. Se abbiamo bambini e famiglie in contesti cittadini con risorse socio-economiche di un certo tipo, possiamo pensare a un accesso ai programmi di educazione all’affettività e sessualità. Se ci spostiamo in zone che non hanno disponibilità o un’apertura, ecco che qui troviamo enormi differenze”.