A causare la crisi del settore agricolo, rappresentata in modo eclatante dalle proteste dei trattori che nel 2024 hanno invaso Bruxelles, non sarebbero le norme Ue a difesa dell’ambiente bensì i meccanismi di distribuzione dei fondi europei.
È questa la conclusione sulla radice della crisi dell’agricoltura suggerita dal nuovo Report pubblicato da Greenpeace.
In 15 anni il numero delle piccole aziende agricole italiane si è dimezzato, quello delle grandi aziende è raddoppiato. Il Report mette in evidenza come il sistema di sussidi europei favorisca i grandi produttori. Il documento “La crisi degli agricoltori italiani ed europei” evidenzia come per sopravvivere le aziende agricole debbano produrre sempre più e quelle che non riescono a far crescere la produzione sono costrette a chiudere.
A soffrire sono soprattutto le piccole aziende a conduzione familiare con una produzione al di sotto dei 50mila euro all’anno. La tendenza è comune in tutta Europa. Nell’Unione, dal 2007 al 2022, sono scomparsi due milioni di aziende e 3,8 milioni di posti di lavoro contro i soli 306mila nuovi posti di lavoro creati dalle grandi aziende agricole. Queste ultime, pur costituendo l’8% delle aziende più produttive, ottengono il 37% dei fondi della Politica Agricola Comune (Pac) e in 15 anni hanno aumentato il proprio reddito medio dell’84%.
In Italia sebbene le piccole aziende siano ancora la maggioranza negli ultimi 15 anni sono diminuite del 51%. Le dinamiche di ripartizione dei fondi della Pac sono le stesse; il 30% dei fondi va alle grandi aziende sebbene queste rappresentino soltanto il 7% delle aziende agricole italiane, di conseguenza queste mega aziende sono potute aumentare del 57% e la loro produzione è cresciuta del 70%.
La necessità di aumentare la produzione per poter sopravvivere spinge le piccole realtà a impiegare tecniche intensive a discapito del rispetto dell’ambiente. Secondo Simona Savini, della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia, i fondi europei dovrebbero sostenere le piccole realtà sostenibili: “Anziché puntare il dito contro le misure di protezione ambientali, che sono preziose alleate per un’agricoltura in salute, i governi nazionali e l’UE dovrebbero smettere di finanziare le mega aziende agricole intensive e sostenere gli agricoltori che lottano per restare a galla e vogliono contribuire al ripristino della natura“.
“Ciò che sta mettendo le aziende agricole in crisi, come evidenziato da molti agricoltori anche durante le proteste, è il fatto che sussidi, regole e mercato sono tutti orientati a beneficio delle realtà più grandi. Le maggiori catene della grande distribuzione e le grandi aziende alimentari e di trasformazione possono imporre prezzi bassi agli agricoltori, spingendo i produttori più piccoli fuori dal mercato“, dichiara Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura di Greenpeace Italia. “Tutto ciò, mentre gli agricoltori si trovano ad affrontare gli effetti della crisi climatica. Incolpare le norme di tutela ambientale significa mentire in primis agli agricoltori che sono già allo stremo, continuando a foraggiare un sistema che funziona solo per una esigua percentuale di grandi attori del mercato”.