La COP29 di Baku riunisce leader mondiali per discutere finanza climatica, mitigazione e adattamento al cambiamento climatico. Ma quest’anno molti leader hanno deciso di restare a casa. Quali sono gli obiettivi di COP29 e perché c’è scetticismo?
Inizia oggi la COP29, cioè la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. L’occasione annuale in cui i rappresentanti di 198 governi mondiali si incontrano per fare il punto sulla lotta alla crisi climatica, comprendere quali siano le sfide maggiori e provare a trovare una soluzione per mitigare il riscaldamento globale.
Le COP sul clima negli ultimi anni hanno avuto una risonanza maggiore rispetto al passato, ma quella che comincia oggi a Baku, in Azerbaigian e che terminerà il 22 novembre pare essere percepita dagli addetti ai lavori come una COP fiacca e poco produttiva. Come mai? Andiamo con ordine.
Finanza climatica al centro della COP29
Da tempo sui tavoli delle COP ci sono diversi temi. Il più sfidante (e forse più importante) è quello della mitigazione, cioè cercare soluzioni per fermare il riscaldamento globale causato dall’altissima concentrazione di anidride carbonica che gli esseri umani emettono utilizzando petrolio, gas e carbone.
Ma negli ultimi anni le Conferenze dell’ONU sul clima si sono occupate soprattutto di altre questioni, come quella finanziaria. Anche quest’anno la “finanza climatica” sarà al centro dei colloqui. In altre parole bisognerà fare passi in avanti rispetto agli accordi politici con cui i paesi più ricchi (che sono i responsabili maggiori delle emissioni di carbonio) si impegnano a versare risorse finanziarie in favore dei Paesi più poveri.
I cosiddetti “Paesi in via di sviluppo”, infatti, non solo hanno molte meno colpe dei Paesi industrializzati ma sono paradossalmente quelli che pagano maggiormente le conseguenze del clima che cambia. Sia per le loro condizioni geografiche, sia perché a causa della loro povertà non possono implementare politiche di adattamento ai cambiamenti climatici.
Durante la COP29 di Baku il tema principale sarà questo. In particolare bisognerà definire il “Nuovo Obiettivo Quantificato Collettivo” (NCQC, nell’acronimo inglese), cioè il quadro per la finanza climatica post 2025.
I delegati dei Paesi che prendono parte ai lavori dovranno decidere non solo quali Paesi devono mettere nel piatto i fondi e quali, invece, possono riceverli. Ma soprattutto dovranno decidere quante risorse servono e come devono essere suddivise le donazioni. Secondo alcune analisi servono tra i 1000 e i 2400 miliardi di dollari all’anno entro il 2030.
COP29, la sfida della mitigazione
Ma se la finanza climatica sarà il tema principale, non sarà senz’altro l’unico. Quest’anno è attesa anche la presentazione dei Piani Nazionali di Azione climatica e gli aggiornamenti relativi agli NDC, i Contributi Nazionali Volontari. Si tratta di documenti con cui i Paesi membri dimostrano in che modo vogliono fare la loro parte per raggiungere gli obiettivi fissati dagli Accordi di Parigi sul clima del 2015: mantenere il riscaldamento globale “ben al di sotto” dei 2°C rispetto al periodo pre-industriale, idealmente sotto gli 1,5°C.
Purtroppo il 2024, secondo i dati Copernicus, sarà il primo anno in cui l’obiettivo del grado e mezzo sarà superato. Inoltre, con l’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump gli accordi di Parigi perderanno (con molta probabilità) un pezzo fondamentale a causa della fuoriuscita degli USA.
Ma i dubbi sull’effettiva utilità di queste conferenze hanno radici più profonde. Un esempio? Il fatto che quella di Baku è la terza COP consecutiva organizzata e presieduta da un Paese che ha fortissimi interessi nei combustibili fossili (quelli, cioè, che causano il cambiamento climatico) dopo la COP27 organizzata in Egitto e la COP28 organizzata dagli Emirati Arabi Uniti.
La domanda che molti si pongono è: come possono Paesi le cui economie si basano su petrolio e gas impegnarsi per dire addio all’utilizzo di petrolio e gas?
COP29, i grandi della Terra stanno disertando
Il sempre maggiore scetticismo su questo tipo di manifestazioni ha spinto molti capi di stato e di governo (che solitamente andavano a dare l’indirizzo politico ai negoziati) a restare a casa.
Saranno 100 (su circa 200) i capi di stato e di governo che andranno. Di sicuro non andrà Joe Biden (presidente USA uscente con politiche climatiche assai diverse da colui che gli succederà a gennaio alla Casa Bianca), non ci sarà la presidente della Commissione Europea Ursula von del Leyen. Né il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Così come non ci sarà Luiz Inacio Lula da Silva, presidente del Brasile, che il prossimo anno ospiterà la COP30.
Secondo molti le defezioni sono dovute anche al fatto che il mondo guarda già alla COP30 del prossimo anno, quella in cui bisognerà fare il punto di quanti degli obiettivi datisi in precedenza l’umanità ha raggiunto.