Cartello della COP29 in Azerbaigian, che si terrà dal 11 al 22 novembre 2024, evidenziando le sfide per un accordo sulla finanza climatica.

Ancora lontano un accordo sulla finanza climatica. COP29 rischia di essere un buco nell’acqua

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COP29 a Baku, tra tensioni e negoziati serrati. Il nodo centrale resta la finanza climatica. Paesi sviluppati e in via di sviluppo divisi su chi, quanto e come deve contribuire finanziariamente. 

La COP29, la Conferenza dell’ONU sui cambiamenti climatici, è entrata nel vivo. Domani, venerdì 22 novembre, termineranno i negoziati, almeno sulla carta. Perché un testo che metta d’accordo quasi 200 Paesi entro quella data potrebbe non trovarsi. 

La bozza di testo presentata questa mattina dalla presidenza azera ha provocato reazioni forti e contrastanti, dividendo ulteriormente i negoziati su temi cruciali come la mitigazione delle emissioni e il finanziamento climatico.

Cosa è successo finora a COOP29

La bozza di accordo diffusa alle prime luci dell’alba ha evidenziato profonde divergenze. La delegazione dell’Unione Europea, guidata dal commissario al clima Wopke Hoekstra, ha bocciato il testo definendolo “sbilanciato, inattuabile e inaccettabile”. Le critiche si concentrano sulla mancanza di progressi rispetto agli impegni di Dubai dello scorso anno, in particolare su obiettivi come la triplicazione delle rinnovabili e il raddoppio dell’efficienza energetica.

Dall’altra parte, i Paesi in via di sviluppo, rappresentati dal Gruppo dei 77 più la Cina, insistono su un’altra priorità: una cifra chiara per il finanziamento climatico. La richiesta è di almeno 1,3 trilioni di dollari l’anno, destinati a mitigazione e adattamento climatico.

Tuttavia, i Paesi sviluppati mantengono le proprie riserve, proponendo alternative che includono contributi privati e volontari da nazioni emergenti come Cina e India, anziché farsi carico esclusivamente del peso finanziario.

Le due opzioni di testo ministeriale delineano le profonde differenze tra i blocchi:

  1. Opzione 1 (Paesi in via di sviluppo): Solo i Paesi ricchi dovrebbero finanziare il nuovo obiettivo collettivo quantificato, con sovvenzioni a fondo perduto e senza coinvolgere contributi privati o volontari di altre nazioni.
  2. Opzione 2 (Paesi sviluppati): L’obiettivo di finanziamento includerebbe tutte le fonti disponibili, pubbliche e private, con una maggiore partecipazione da parte di nazioni economicamente capaci come Cina e Arabia Saudita.

La strategia del Qurultay

Per affrontare l’impasse che si è venuta a creare, il presidente di COP29, l’azero Mukhtar Babayev, ha convocato un Qurultay, cioè un antico concilio politico-militare delle steppe asiatiche. Questo approccio richiama la tattica adottata con successo lo scorso anno a Dubai, dove un compromesso fu raggiunto grazie all’intervento congiunto di Stati Uniti e Cina.

Tuttavia, quest’anno il panorama politico è diverso. Gli Stati Uniti, rappresentati da John Podesta, mantengono un profilo basso in vista del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, lasciando spazio a Pechino. La Cina potrebbe quindi giocare un ruolo chiave, assumendo la leadership nel caso di un successo, o scaricando le colpe sull’Occidente in caso di fallimento.

Cosa aspettarsi nei prossimi giorni

Con il termine ufficiale della conferenza previsto per domani sera, il tempo stringe. Secondo fonti vicine alla presidenza azera, si sta lavorando a un documento di compromesso “prendere o lasciare” per evitare un fallimento che sarebbe deleterio per tutte le parti.

Il nodo principale rimane il finanziamento climatico. Riuscirà Babayev a sbloccare lo stallo con un testo che bilanci le responsabilità storiche dell’Occidente e le richieste crescenti del Sud globale? Tutti gli occhi sono puntati su Baku, mentre il mondo attende di capire se COP29 segnerà un passo avanti o si concluderà in un ennesimo nulla di fatto.

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