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C’è anche un appello firmato, tra gli altri, da Naomi Klein e Caroline Lucas.

Mancano poco più di tre mesi all’inizio della Cop27 a Sharm el-Sheikh, ma è già polemica sul Paese ospitante. Diversi ambientalisti e attivisti puntano il dito contro l’Egitto, temendo che ospitare un evento dell’Onu così importante possa essere l’occasione, per il regime di al-Sisi, di mettersi in luce a livello internazionale nascondendo la violazione sistematica dei diritti umani. Mentre migliaia di attivisti sono prigionieri politici, spesso condannati per reati d’opinione, all’Onu viene rivolto un appello: quello di riconsiderare la sede della prossima Conferenza delle parti sul cambiamento climatico. Lo riporta anche il Guardian.

Ormai è tardi, ma c’è un appello firmato da diversi personaggi molto noti a livello mondiale. C’è, ad esempio, la giornalista, scrittrice e attivista canadese, Naomi Klein. Ma anche la storica parlamentare verde britannica, Caroline Lucas. L’Egitto ha assicurato che le manifestazioni saranno consentite, ma solo in zone lontane dalla sede della Cop27. Una promessa a cui pochi credono. “L’unico modo per far sì che la Cop27 sia un successo è consentire quella mobilitazione civica che ha sempre mosso istanze e pressioni positive sulle delegazioni partecipanti“, si legge nell’appello.

Da quando è salito al potere, Abdel-Fatah al-Sisi ha creato un regime capace di annientare ogni opposizione politica e civile. Ne sono un esempio due casi molto noti in Italia: l’uccisione di Giulio Regeni e la detenzione di Patrick Zaki. La Rete araba per i diritti umani stima che in Egitto ci siano almeno 65mila prigionieri politici. Diverse associazioni, tra cui Amnesty International, si sono unite all’appello: “Migliaia di persone continuano ad essere detenute senza un vero motivo, ma solo per aver pacificamente espresso la loro opinione. Tra loro ci sono attivisti per i diritti civili, delle donne e delle minoranze, ma anche economisti, sociologi, avvocati, giornalisti, artisti, docenti universitari“.

Preoccupa anche la situazione di Alaa Abd El Fattah, attivista anglo-egiziano, tra i protagonisti della rivoluzione del 2011 e detenuto in una prigione nel deserto a Nord del Cairo. Arrestato nel 2014 dopo una manifestazione, da 119 giorni è in sciopero della fame. È accusato di terrorismo dopo aver pubblicato un post sui social contro le torture nelle carceri egiziane. Sanaa Seif, la sorella di Abd El Fattah, ha spiegato: “Si potranno fare passi in avanti sulla giustizia climatica in un Paese dove c’è uno dei regimi più repressivi al mondo, in cui viene violato sistematicamente ogni diritto umano?“.

Sull’Onu, quindi, c’è una grandissima pressione e non solo per quanto riguarda la giustizia climatica. Come riporta il Guardian, si temono le violazioni dei diritti umani, a cominciare dalla repressione dei movimenti LGBTQ+. Jerome Foster, giovane consulente ambientale della Casa Bianca, e il suo compagno Elijah Mckenzie-Jackson, hanno scritto a Patricia Espinosa. “Il comportamento dell’Onu è irresponsabile, si predica bene e si razzola male. Ci sono ben altri Paesi, in Africa, dove è possibile includere le voci di tutti, a cominciare dagli abitanti che hanno le loro giuste istanze di fronte ai temi del clima” – l’appello alla segretaria esecutiva dell’UNFCCC – “In Egitto, la Cop27 è destinata a fallire. Ogni attivista presente potrebbe essere in pericolo e dovranno tutti stare molto attenti a ciò che fanno, compresa la loro attività sui social. Ma siamo molto più preoccupati per i cittadini egiziani. Ci auguriamo che la Cop27 possa mettere in luce, e non nascondere, quello che subisce ogni giorno la società civile egiziana“.