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Cop25, il decennio che sta per concludersi è il più caldo della storia

Si è concluso il secondo giorno della Cop25 di Madrid che si svolgerà fino al 13 dicembre. Tra gli argomenti trattati i dati relativi al riscaldamento globale e le discussioni sull’articolo 6 degli accordi di Parigi.

Il decennio che sta per concludersi sarà quasi certamente il più caldo della storia. Gli esperti hanno dipinto un quadro desolante riguardante lo scioglimento dei ghiacciai, le ondate di caldo e i disastri meteorologici degli ultimi dieci anni.

Una valutazione annuale sul clima della Terra del World Meteorological Organization (WMO) ha messo in evidenza la posta in gioco alla Cop25 di Madrid che servirà a mettere in moto gli accordi di Parigi del 2015 ed evitare la catastrofe. Le ondate di caldo e le inondazioni che solitamente accadevano una volta ogni cento anni stanno diventando sempre più frequenti secondo Petteri Taalas, segretario generale del WMO. “I paesi che vanno dalle Bahamas al Giappone al Mozambico hanno sofferto gli effetti dei cicloni tropicali. Gli incendi si sono diffuso dall’artico all’Australia”.

Tra le scoperte del report:

  • Le temperature medie per il quinquennio 2015-2019 e il decennio 2010-2019 sono le più alte della storia.
  • Il 2019 sarà il secondo o il terzo anno più caldo nella classifica.
  • Le acque del mare sono del 26% più acide rispetto all’inizio dell’era industriale e hanno rovinato l’ecosistema marino.
  • Sia nel mare Artico che nell’Antartico sono stati registrati record negativi di ghiaccio più volte nell’anno.
  • I cambiamenti climatici sono la chiave del recente aumento della fame nel mondo, dopo un decennio di stabilità, con più di 820 milioni di persone che hanno sofferto la fame nel 2018.
  • I disastri metereologici hanno causato lo sfollamento di milioni di persone quest’anno.
  • Il report inoltre ha evidenziato che le impennate nelle temperature marine conosciute come “ondate di calore marine” che devastano la vita sott’acqua sono diventate sempre più comuni.

Le soluzioni per far si che il prossimo decennio non segua lo stesso trend sono discusse in questi giorni alla Cop25 di Madrid, nei quali si parlerà dei due meccanismi con i quali verrà regolato il commercio del carbonio.

Il primo permetterebbe ai paesi che riducono le emissioni più del dovuto di vendere questa “riduzione di emissioni” ai paesi che faticano a raggiungere i loro obiettivi.

Ad esempio, se un paese che deve ridurre le sue emissioni di 100 tonnellate di CO2 riesce a ridurne un valore di 110 tonnellate, può vendere queste 10 tonnellate in eccesso ad un paese che non riesce a raggiungere l’obiettivo.

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Stefano de Clara, direttore della politica all’International Emissions Trading Association (IETA), che lavora per stabilire un contesto legale per il commercio delle riduzioni delle emissioni, considera questo schema “uno strumento chiave” per permettere ai paesi di rispettare gli impegni presi a Parigi.

“Ipoteticamente potremmo creare un mercato globale in cui ognuno commercia le emissioni” aggiungendo che sempre più paesi stanno prendendo in considerazione il mercato delle emissioni come uno strumento per raggiungere gli obiettivi NDC (nationally determined contributions), i contributi calcolati per ogni nazione.

Le regole relative alla compensazione del carbonio saranno anche parti della discussione sull’articolo 6, dove i negoziatori dovranno sviluppare delle regole per quello che è conosciuto come SDM (sustainable development mechanism) i meccanismi di sviluppo sostenibile, uno strumento che ha succeduto il CDM, (Clean development mechanism)i meccanismi di sviluppo pulito creati qualche anno fa dal protocollo di Kyoto.

I meccanismi CDM hanno permesso ai paesi più ricchi di compensare le proprie emissioni di CO2 finanziando progetti che riducessero le emissioni nei paesi in via di sviluppo. Carbon Market Watch stima che circa l’85% dei progetti finanziati non sia tenuto sotto controllo.

Ma i critici sono preoccupati che alcuni paesi possano impostare degli obiettivi molto ridotti in modo da guadagnare di più dalla vendita dei crediti in eccesso. “Ottenere NDC non ambiziosi non dovrebbe essere abbastanza per permettere di partecipare in questo meccanismo di mercato” secondo Carsten Warnecke, cofondatore del NewClimate Institute.

Secondo Warnecke tutti i paesi che voglio raggiungere gli obiettivi NDC dovrebbero essere abbastanza ambiziosi da assicurarsi il raggiungimento minimo degli obiettivi di Parigi (2 gradi sopra il livello delle temperature preindustriali) e solo i paesi le cui politiche siano in linea con gli accordi dovrebbero partecipare a questo mercato. “E’ una proposta cosi ambiziosa che solo pochi paesi potrebbero vendere la riduzione delle emissioni”.

È stato creato per essere un sistema che permettesse ai paesi ricchi di impostare traguardi più ambiziosi – ha detto Giles Dufrasne – ma quello che ha fatto è stato rendere più economico il raggiungimento degli obiettivi e si potrebbe discutere il fatto che ha indebolito gli obiettivi perché invece di ridurre le emissioni puoi semplicemente comprare dei crediti”.

Inoltre, secondo i critici i crediti comprati in questo meccanismo sono troppo economici e non dovrebbero essere inclusi nei nuovi schemi di commercio del carbonio, un punto che ha già scatenato dei dibattiti tra le nazioni che posseggono questi crediti.

Secondo de Clara se i negoziatori riuscissero ad applicare delle regolamentazioni chiare, l’articolo 6 sarebbe in grado di fornire gli incentivi ai paesi per assicurarsi degli standard nel commercio delle emissioni, che porterebbe ovviamente ad obiettivi più ambiziosi.

Ma Schneider del BUND, Friends of the Earth Germany, teme che includere il sistema delle compensazioni negli accordi di Parigi potrebbe corrompere il sistema: “temiamo che l’implementazione dell’articolo 6 possa deteriorare altri strumenti come l’eliminazione graduale dei combustibili fossili e che le persone andranno alla ricerca di una soluzione di uscita più semplice dagli obiettivi climatici e che invece di aumentare le ambizioni le ridurrebbe. L’urgenza per combattere la crisi climatica non è mai stata così necessaria e per le solo azioni dirette degli Stati potrebbero fare la differenza”.

Il presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen ha promesso lunedì che l’European Green Deal “sarà la nuova strategia di crescita per l’Europa”, che ridurrà le emissioni creando nuovi posti di lavoro e migliorando la qualità della vita.

“Questo includerà l’estensione del commercio delle emissioni in tutti i settori rilevanti, energie pulite, sicure e a basso costo e la spinta dell’economia circolare”.

La prima proposta di legge europea sul clima sarà presentata il 20 marzo, anche se il pacchetto di proposte verrà svelato dal commissario del GreanDeal, Frans Timmermans l’11 dicembre 2019.

Von derLeyen ha detto che vorrebbe che il Green Deal fosse il marchio dell’Europa e che il continente diventi il primo continente a raggiungere la neutralità delle emissioni entro il 2050.

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Greenpeace ha però accusato la nuova Commissione di aver preparato un pacchetto di provvedimenti legislativi ambientali che sono “troppo deboli, fatti a metà o carenti del tutto”.

Secondo il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, è giunto il tempo di una rivoluzione verde, dopo aver avuto la rivoluzione industriale e la rivoluzione tecnologica.

“Ma non dobbiamo dimenticarci le persone dietro queste politiche. Dobbiamo essere giusti e socialmente bilanciati ha detto, aggiungendo che non tutti i paesi partono dalla stessa posizione.Proteggere il pianeta è la scelta giusta, l’unica scelta”.

Un nuovo report del Universal Ecological Fund (FEU) ha sottolineato che alcuni paesi dell’Unione Europea sono “ancora dipendenti dai carbon fossili per la loro elettricità e per il riscaldamento”. I più grandi paesi contribuenti nel 2018 sono stati la Germania col 22%, il Regno Unito 10.7, l’Italia 10% Polonia 9.6% e Francia 9.3%.

In tutto il mondo, 136 paesi sui 184 che hanno firmato gli accordi di Parigi non sono ancora in grado di raggiungere i livelli di emissioni promesse per mantenere le temperature al livello previsto.

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Come detto dal Segretario generale delle Nazioni Unite Guterres ieri, secondo il report delle ONU il mondo avrebbe bisogno di ridurre le emissioni del 7.6% ogni anno per il prossimo decennio per raggiungere gli obiettivi di Parigi.

Secondo il Presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, la risposta ai cambiamenti climatici sta nel multilateralismo.

Giovedì scorso i parlamentari hanno dichiarato “l’emergenza climatica” e richiesto alla nuova Commissione di includere l’obiettivo del 55% della riduzione delle emissioni entro il 2030. Tuttavia, questo potrebbe non essere abbastanza. A livello nazionale, i parlamentari hanno fatto appello agli stati membri per includere l’aviazione e le spedizioni nei piani nazionali per ridurre le emissioni e di raddoppiare i contributi all’International Green Climate Fund.

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Intanto il Cile è ancora alle prese con disordini sociali e le proteste che hanno spinto il Presidente Sebastian Pinera a dover rinunciare ad ospitare il COP25. Le rivolte hanno già causato 23 morti e migliaia di feriti nelle ultime sei settimane.

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La presenza del Cile al summit sul clima sarà minima, in contrasto al peso che si pensava avrebbe avuto il Cile 11 mesi fa quando ha scelto di ospitare l’evento.

“La perdita della Cop è una vergogna, ma la mobilitazione è un’opportunità ancora migliore – ha detto Maria Joesfina Correa, direttore generale di Greenpeace Chile  – non bisogna parlare solamente della crisi climatica, bisogna parlare anche della governabilità. La giustizia sociale e ambientale dovrebbe essere la guida dei governi”.

Nel periodo precedente alla Cop, Pinera ha delineato i piani che porterebbero il Cile ad essere uno dei primi paesi carbon neutral al mondo, dicendo che nonostante il paese sia responsabile solamente per lo 0.25% delle emissioni del pianeta è uno dei 10 stati più vulnerabili ai cambiamenti climatici.

“Il clima è fondamentalmente connesso ai diritti umani – ha detto Jorge Canales, ex viceministro dell’ambiente – per questo motivo, la crisi climatica ha fatto emergere una parte delle rivolte sociali, oltre ad aver aumentato le diseguaglianze, il costo della vita e le repressioni statali”.

Secondo Canales la COop25 sarebbe potuta essere fondamentale per l’implementazione di politiche ambientali ma concorda con Correa quando pensa che i cambiamenti avverranno anche se ci vorrà più tempo.

“C’è un’opportunità adesso, considerando che il COP è organizzato come un evento o un festival. Forse non avrebbe portato a nulla di concreto. Ora, il discorso sul clima è diventato più profondo”.

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“La Cop25 era un’opportunità per il Cile per mostrare le “zone sacrificate”, la contaminazione, che ora è andata perduta” ha detto Josefa Solis, che ha partecipato alla manifestazione di Fridays for Future venerdì scorso. “Ma speriamo che tutta questa mobilitazione sociale possa farlo”.

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