Agricoltura. La Corea del Sud ha deciso di voler rinunciare ai privilegi concessi dallo status di paese in via di sviluppo presso l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc).
Una decisione vista dal presidente Usa, Donald Trump, come una vittoria dal momento che da tempo sta esercitando pressioni sulla Cina affinché faccia altrettanto.
A Seul, lo status auto-attribuito di paese in via di sviluppo è servito soprattutto per proteggere il proprio settore agricolo, imponendo ad esempio dazi di oltre il 500 per cento alle importazioni di riso.
“E’ sempre più difficile essere riconosciuti come paese in via di sviluppo dalla comunità internazionale, considerato il nostro status economico” – ha ammesso il ministro delle Finanze sudcoreano, Hong Nam-ki, nel corso di un discorso televisivo – il governo farà tutto il possibile per garantire la massima protezione ad aree dell’agricoltura come il riso nei futuri negoziati con l’Omc”.
Lo scorso luglio, Trump scrisse sul suo profilo Twitter che alcuni dei paesi più ricchi al mondo sostengono di essere economie in via di sviluppo “per eludere le regole dell’Omc e ottenere un trattamento preferenziale”, annunciando di aver ordinato al rappresentante del Commercio Usa di “assumere iniziative” affinché quei paesi smettano di abusare del sistema a spese degli Usa.
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Anche se il messaggio lanciato da Trump era soprattutto indirizzato alla Cina, anche la Corea del Sud ha approfittato di queste “scappatoie” per favorire il proprio settore agricolo.
La Corea del Sud fu classificata paese in via di sviluppo nel 1996, titolo che ancora mantiene per proteggere il proprio settore agricolo.
Con la rinuncia ed il passaggio a “paese avanzato” presso l’Organizzazione mondiale del commercio, il suo settore agricolo sconterà un drastico taglio di contributi, tariffe e sussidi.
La decisione di Seul aumenta le pressioni sulla Cina, che già da tempo viene sollecitata da diversi Paesi a (Usa, Australia e Giappone ad esempio), a rinunciare allo status di economia in via di sviluppo.
Per primo ministro dell’Australia, Scott Morrison, lo status goduto dalla Cina “non è più adatto allo scopo” e deve essere aggiornato, per riflettere il nuovo status di Pechino come potenza economica sviluppata.
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“La comunità globale ha sostenuto la Cina nel suo processo di crescita e sviluppo – ha detto Morrison – ma ora deve chiedere che la seconda economia mondiale applichi maggiore trasparenza alle sue relazioni commerciali, e si assuma un onere maggiore nel contrasto al mutamento climatico”.
Ma la Cina, ha già chiarito di non voler rinunciare al titolo di nazione in via di sviluppo presso l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc), in risposta alle sollecitazioni degli Stati Uniti ad equilibrare i privilegi commerciali di cui il paese asiatico attualmente gode.
“La posizione della Cina sulla riforma dell’Omc è stata molto chiara. La Cina è il più grande
paese in via di sviluppo al mondo” – ha detto il portavoce del ministero del Commercio cinese, Gao Feng.
“Siamo disposti – ha aggiunto – ad assumere obblighi in seno all’Omc che siano compatibili con il nostro livello e le nostre capacità di sviluppo economico”.
Come per la Corea del Sud, la classificazione della Cina come paese in via di sviluppo presso l’Omc gli conferisce un trattamento diverso dai paesi sviluppati, consentendo a Pechino di fornire sussidi all’agricoltura e stabilire maggiori ostacoli all’ingresso sul mercato rispetto alle economie più sviluppate.
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Un deciso intervento è stato quello del Giappone.
Tokyo ha sollecitato la Banca asiatica di sviluppo (Adb) a concludere il sostegno alla Cina tramite l’emissione di credito a tassi agevolati, sostenendo che la seconda economia mondiale abbia conseguito un livello di sviluppo tale da non dover più beneficiare di tale tipologia di programmi di assistenza.
Tokyo ha concluso il proprio programma ufficiale di assistenza allo sviluppo cinese nell’anno fiscale 2018.
La pressione sull’Adb pone Tokyo a fianco degli Stati Uniti (Usa e Giappone sono i principali contribuenti della Banca).
Washington, in particolare, è impegnato in una campagna di pressione analoga nei confronti della Banca mondiale.
Il prodotto interno lordo pro-capite cinese ha raggiunto gli 8.690 dollari nel 2017, ben al di sopra della soglia massima di 6.795 dollari fissata dalla Banca asiatica di sviluppo per l’accesso ai suoi finanziamenti.