L’accusa di Greenpeace Italia: “Se l’azienda è sicura del proprio operato, perché scappa dal confronto?”.
Eni contro Petrolio, trasmissione di Rai 3 condotta e diretta da Duilio Giammaria, per un approfondimento sulla crisi del clima e sui combustibili fossili. Nella puntata andata in onda la sera di martedì 27 febbraio, infatti, si è parlato di come le multinazionali del fossile sapessero da decenni delle conseguenze sul clima, ma abbiano organizzato in tutto questo tempo campagne di disinformazione per insinuare dubbi sulla correlazione tra l’industria petrolifera e il global warming.
I primi documenti che dimostravano la connessione tra l’aumento della CO2 nell’atmosfera e il cambiamento climatico risalgono addirittura al 1965, e negli anni successivi anche i ricercatori di Exxon, una delle principali multinazionali petrolifere, confermarono l’influenza del consumo di combustibili fossili sul clima. Quei dati, però, furono tenuti nascosti, con conseguenze che oggi sono sotto gli occhi di tutti.
In Italia, Greenpeace e ReCommon hanno avviato un’azione legale collettiva, insieme a 12 cittadini, contro Eni, che tra l’altro era stata invitata a partecipare alla puntata di Petrolio. Come scrive Il Fatto Quotidiano, l’azienda ha rifiutato l’invito, chiedendo che in trasmissione fosse letto un testo e avvertendo che non accetterà “accuse inaccettabili che saranno demolite in altre sedi“. Duilio Giammaria, nella puntata di ieri sera, ha letto il comunicato di Eni, con le motivazioni dell’azienda: “La trasmissione avrebbe preso la strada di un atto di accusa pregiudiziale verso le società energetiche“. E anche per questo, delle inchieste avviate da Greenpeace e ReCommon, non è stata fatta alcuna menzione.
La replica di Greenpeace Italia, dopo l’accaduto, non ha tardato ad arrivare. “La censura preventiva messa in campo da Eni, con un comunicato dai toni durissimi e intimidatori, è di una inaudita gravità. Chiediamo l’intervento della Commissione di vigilanza Rai per capire se, come sembrerebbe, ci sono state pressioni indebite da parte di un’azienda controllata dallo Stato su una trasmissione del servizio pubblico, tali da impedire un’informazione completa e trasparente” – spiega la ong ambientalista – “Il report ‘Eni sapeva’ dimostra come anche Eni possa essere inserita tra quei colossi energetici che conoscevano già decenni fa i danni che il loro business avrebbe causato al clima, ma che hanno deciso di ignorare questi allarmi“.
“È evidente che Eni non vuole che si parli del suo contributo alla crisi climatica, come dimostra quanto successo ieri sera. Ci chiediamo dunque: se l’azienda è sicura del proprio operato, di cosa ha paura? Perché scappa dal confronto?” – accusa ancora Greenpeace – “Vista la reazione scomposta di ieri, pare proprio che il cane a sei zampe abbia davvero una gran coda di paglia“.