Si parla sempre più spesso di CCS (Cattura e Stoccaggio della CO2), metodi che hanno lo scopo di combattere il cambiamento climatico in maniera diversa rispetto alle politiche di mitigazione. Ma come funziona la CCS e quali sono i suoi limiti?
Lo scorso 4 settembre ENI e SNAM, due dei maggiori protagonisti del settore energetico italiano, hanno fatto sapere che è iniziata ufficialmente la fase 1 del progetto Ravenna CCS, il primo in Italia dedicato alla cattura, al trasporto e allo stoccaggio permanente della CO2.
Con questo progetto le due major dell’energia vogliono catturare l’anidride carbonica prodotta in una centrale ENI di trattamento del gas naturale di Ravenna, trasportarla in una piattaforma al largo della città e poi iniettarla nel terreno, cioè nelle intercapedini vuote di un ex giacimento di gas naturale che si trova a 3000 metri di profondità.
Ravenna CCS, il primo grande progetto CCS in Italia
Quello di Ravenna è il primo, grande progetto CCS in Italia. Si tratta di tecniche di cattura e stoccaggio della CO2 che si propongono di fare la loro parte nel processo di decarbonizzazione e quindi di combattere il cambiamento climatico.
Come sempre però le cose non sono mai così semplici. In questo articolo vogliamo fare il punto sulla CCS, capire di cosa si tratta, quali sono i pro e quali i contro e qual è la posizione del governo italiano su questo. Cominciamo.
Cos’è la CCS e come funziona?
CCS sta per Carbon Capture and Storage, cioè cattura e stoccaggio della CO2. Si tratta di quell’insieme di tecnologie che sono state sviluppate (molte sono ancora in fase di sviluppo) con l’obiettivo di dare una mano al processo di decarbonizzazione.
Ormai lo sappiamo da tempo: i cambiamenti climatici che stiamo vivendo, le alluvioni sempre più frequenti, il caldo intenso e prolungato della scorsa estate, le grandinate, gli uragani che nel Mediterraneo nemmeno c’erano fino a qualche tempo fa e in generale tanti altri fenomeno meteo estremi, secondo la scienza sono dovuti al riscaldamento globale.
Ma cos’è che provoca il riscaldamento globale? Secondo la grandissima parte degli scienziati, il riscaldamento globale in corso è dovuto all’utilizzo da parte di noi esseri umani delle fonti fossili, cioè del petrolio, del gas naturale e del carbone che nel mondo utilizziamo per produrre energia e per far funzionare i motori di auto, aerei, navi.
Per bloccare il riscaldamento globale dunque bisogna evitare di pompare CO2 nell’atmosfera. Ma ci sono dei settori per cui la decarbonizzazione è molto complessa: i cosiddetti settori “hard to abate”. E qui entra in gioco la CCS. Se in questi settori non si può evitare di produrre CO2 quantomeno proviamo a ricatturarla e a stoccarla altrove.
I processi di cattura e di stoccaggio della CO2
I processi di cattura e di stoccaggio sono tanti e dipendono dal tipo di gas che contiene la CO2 che vogliamo lavorare. Una volta catturata, la CO2 viene compressa e trasportata tramite gasdotti, navi o autocarri verso i siti in cui poi verrà immagazzinata.
Ma dove è possibile stoccare la CO2 che abbiamo catturato? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Giulia Monteleone che è direttrice del Dipartimento Tecnologie Energetiche e Fonti Rinnovabili dell’ENEA che è il maggiore ente pubblico italiano che si occupa di questi temi.
“Si identificano due siti di stoccaggio: i giacimenti di petrolio o di gas esauriti, quindi quei giacimenti da cui è stato estratto il petrolio o è stato estratto per esempio il gas naturale; oppure strati salini profondi”, ha spiegato la dottoressa Monteleone.
“I primi ovviamente sono quelli in qualche modo oggi più sicuri, più consolidati perché si è certi che questi siti sono stati in grado di conservare gas per molti, molti anni quindi saranno altrettanto in grado di conservare l’anidride carbonica per molti, molti anni. Mentre strati salini profondi sono oggi ancora allo studio perché l’obiettivo è capire se effettivamente sono adeguati a trattenere poi l’anidride carbonica per tutti gli anni nei quali si vuole appunto conservare”.
Il progetto Ravenna CCS di cui parlavamo poco fa prevede l’iniezione in un ex giacimento di gas naturale. Insomma, il primo caso tra quelli presentati dalla dottoressa Monteleone. Abbiamo detto che sappiamo come catturare la CO2, sappiamo come trasportarla e sappiamo anche come stoccarla in siti adeguati.
E allora, vi chiederete, perché non lo facciamo? O almeno perché non lo facciamo di più di quanto lo stiamo facendo ora? Cos’è che ci frena?
I limiti della CCS
A frenare il potenziamento della CCS sono prima di tutto i costi. “I costi delle tecnologie, i costi delle infrastrutture che devono essere adeguati ad un’applicazione che sia di ampia ricaduta. Quindi non solo per certi settori industriali specifici ma per tutto il mondo civile”, ha spiegato l’esperta dell’ENEA.
“Un’altra criticità – continua Monteleone – è legata sicuramente ai siti di stoccaggio. Un tempo l’anidride carbonica si catturava ma non si stoccava perché non c’era questa necessità legata all’emissione in atmosfera. Oggi la dobbiamo anche stoccare. E quindi sicuramente l’individuazione di siti adeguati è un elemento critico. I giacimenti esausti possono essere una soluzione ma soprattutto a ‘livello Paese’ si stanno ancora studiando e analizzando quelle che possono essere le criticità legate alla sismicità di certi territori piuttosto che altri. E quindi conseguentemente a questo c’è un discorso di accettabilità sociale”.
La CCS può causare sismicità indotta nei siti di stoccaggio?
Fermi tutti! Iniettare CO2 nel sottosuolo può provocare sismi indotti? Lo abbiamo chiesto a Gilberto Saccorotti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.
“Sì, la possibilità esiste perché quando si iniettano fluidi nel sottosuolo provochiamo sempre dei disequilibri rispetto a una situazione esistente”, ha spiegato Soccorotti.
“Nel caso particolare dello stoccaggio di fluidi che possono essere CO2 ma anche, come è fatto in maniera molto più ricorrente, idrocarburi come il metano, questo pericolo sicuramente diminuisce perché andiamo a riempire dei vuoti che erano preesistenti. Questo perlomeno nel caso particolare in cui lo stoccaggio avviene in dei serbatoi esauriti di idrocarburi. Se le pressioni di riniezione sono moderate e se viene effettuato un costante controllo, la probabilità di generazione di sismicità indotta è sicuramente ridotta”.
Insomma, se le cose si fanno bene, il pericolo è molto ridotto. Come ha detto poco fa la dottoressa Monteleone, il grosso tallone d’Achille della CCS è legato ai costi ancora troppo elevati e che la rendono poco conveniente. Eppure ci sono dei settori in cui la decarbonizzazione è assai complessa.
La CCS nei settori Hard to abate
Sono i cosiddetti settori “hard to abate”, in cui è difficile abbattere l’impronta carbonica. Ad esempio l’acciaio, il cemento, l’industria del vetro o anche il trasporto aereo e quello marittimo.
Sebbene siano in corso continue ricerche per cercare di capire come fare ad abbattere l’impronta carbonica di questi settori, bisogna tener presente che le risposte potrebbero arrivare troppo tardi, soprattutto perché l’Unione Europea si è data un obiettivo assai ambizioso, cioè giungere alla neutralità climatica entro il 2050.
Per questi settori dunque la cattura e lo stoccaggio della CO2 potrebbe essere una strategia vincente. Per questo l’Italia, come altri paesi europei, l’ha inserita nella propria strategia climatica.
Come ha spiegato Giulia Novati, ricercatrice di ECCO, il think tank italiano sul clima. E dunque, quali sono gli obiettivi italiani in termini di CCS?
“L’obiettivo è quello di arrivare a catturare 4 milioni di tonnellate di anidride carbonica entro il 2030, in particolare da industrie e centrali termoelettriche che sono localizzate nella pianura padana, ma eventualmente anche da altri siti, soprattutto quelli in prossimità delle aree portuali”, ha spiegato Novati.
“Per quanto riguarda invece lo stoccaggio, viene citato lo stoccaggio nei giacimenti esausti di gas naturale e petrolio, che fanno parte dei titoli minerari di ENI e in questo caso si parla di una potenzialità di circa 750 milioni di tonnellate di CO2, di cui quasi 600 si localizzano nell’area di Ravenna”.
Il piano citato dalla dottoressa Novati, inoltre, fornisce una stima della potenzialità di stoccaggio negli acquiferi salini. Si parla di circa 5 miliardi di CO2 che è possibile stoccare, ma come abbiamo detto in precedenza, questo tipo di tecnologia è ancora molto acerba, quindi per ora resta solo un’ipotesi.
Ciò che è certo è che la CCS rientra nel piano del governo italiano.
Ancora Novati: “La strategia del governo italiano per quanto riguarda le tecnologie per la cattura dell’anidride carbonica la troviamo al momento in quello che è il piano nazionale integrato clima ed energia, che è stato pubblicato di recente, a luglio di quest’anno, e dove appunto viene specificato che il ricorso alla cattura, allo stoccaggio o all’eventuale utilizzo della CO2 è indispensabile per traguardare quelli che sono gli obiettivi climatici di contenimento del riscaldamento globale”.
Perché la CCS non piace agli ambientalisti?
Il governo italiano ha inserito la CCS nella propria strategia climatica, come d’altronde hanno fatto tanti altri paesi europei e non solo. Eppure l’adozione massiccia di questo tipo di tecnologie non piace a una parte degli ambientalisti.
Il timore è che chi ha interessi nel settore dei combustibili fossili possa spingere verso un utilizzo sempre più massiccio di queste tecnologie per continuare a poter guadagnare dal gas e dal petrolio. È in questo modo distogliendo denaro pubblico e privato da investimenti che mirano alla vera decarbonizzazione, come può essere ad esempio un ricorso sempre maggiore alle fonti rinnovabili.
Come sempre la verità è complessa. La CCS di per sé non va demonizzata. E anzi può rappresentare uno strumento indispensabile nella lotta ai cambiamenti climatici, lì dove la decarbonizzazione dura e pura non sembra essere all’orizzonte.
Eppure bisogna stare sempre attenti perché il pericolo che le grandi corporation del petrolio possano utilizzare la CCS per convincere le persone che con essa possiamo permetterci ancora di bruciare idrocarburi è un pericolo vero ed è dietro l’angolo.