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Castelli Romani, consumo di suolo alle stelle: i Comuni più cementificati

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Nessun Comune presenta un tasso di cementificazione inferiore alla media nazionale: ecco chi fa peggio sia in relazione all’estensione del territorio, che per quanto riguarda la superficie per abitante. E ci sono anche altre emergenze ormai più che decennali, come lo sfruttamento eccessivo della risorsa idrica che ha fatto abbassare di 6,5 metri il livello dei laghi. 

Prosegue costantemente il monitoraggio del consumo di suolo e delle risorse idriche nei vari Comuni dei Castelli Romani. A fornire gli ultimi dati, assolutamente preoccupanti, è il Coordinamento ambientalista dei Castelli Romani. La media dei diversi Comuni sulla cementificazione è addirittura del 17%, un dato nettamente superiore sia rispetto ad una Regione come la Lombardia (12%) che rispetto alla media nazionale (7,16%). Inoltre, non c’è nessun Comune, nei Castelli Romani, che raggiunge un consumo di suolo inferiore alla media nazionale.

Drammatico anche il dato sulla cementificazione dei singoli Comuni. Chi fa peggio è Ciampino (42%), seguito da Albano Laziale (27%), Marino (26%), Ariccia (25,8%), Frascati (22%), Genzano e Grottaferrata (20%). I dati appaiono leggermente diversi se si considera come indicatore il consumo di suolo per abitante. In questo caso, chi fa peggio è Lanuvio (353 metri quadrati per abitante), mentre seguono Nemi (328 m²/ab), Velletri (296 m²/ab) e San Cesareo (294 m²/ab).

Tutto questo, nonostante i vari sforzi, nel corso dei decenni, per proteggere le risorse naturali del territorio dei Castelli Romani. Ormai quaranta anni fa, la speculazione edilizia nei vari Comuni sembrava inarrestabile, ma un freno era stato raggiunto grazie al Comitato Promotore del Parco dei Castelli Romani. Oggi, grazie all’impegno degli attivisti, ci sono 15 mila ettari di territorio protetti, di cui novemila composti da foreste. Le criticità però restano, come emerge dai dati che derivano dalla mappatura costante del territorio, che serve sia a segnalare le emergenze ambientali, sia a perimetrare le aree naturali da proteggere. Un’operazione che un tempo era costosa e complessa (si pensi, ad esempio, al ricorso alle carte topografiche militari e alle poche, e costose, foto aeree) e che dal 1997 risulta più semplice e veloce grazie all’utilizzo di dati satellitari e del Sistema di informazioni geografico (GIS).

Se l’istituzione, e la successiva perimetrazione definitiva (risalente al 1998) del Parco dei Castelli Romani, hanno consentito di migliorare la protezione del territorio, le conseguenze negative della speculazione edilizia sono state inarrestabili. Alcuni esempi sono il sovra-sfruttamento delle falde idriche o le superfici impermeabili, che impediscono a circa 80 milioni di metri cubi di acqua di raggiungere il sottosuolo, compromettendo il ciclo idrogeologico. Anche per questo, la battaglia per la difesa di un prezioso patrimonio naturale continua.

Nonostante le leggi di salvaguardia, ci sono ancora diverse violazioni e tentativi di fare netti passi indietro rispetto ai progressi fatti nel corso degli ultimi quattro decenni. Nell’area del Vulcano laziale (60 mila ettari), che pure è parzialmente tutelato dalla perimetrazione del Parco (15 mila ettari), continuano infatti ad avanzare fenomeni come il consumo di suolo, la distruzione degli habitat naturali e lo sfruttamento eccessivo delle risorse, acqua in primis. Anche per questo, il Coordinamento ambientalista dei Castelli Romani ha elaborato un piano di salvaguardia della falde idriche, su tre ambiti di intervento:
– azzeramento di nuove costruzioni nei 20 Comuni dell’idro-struttura albana
– riduzione del 30% dei consumi idrici nei settori residenziale, industriale e agricolo
– azioni di ingegneria naturalistica per ripristinare il normale deflusso delle piogge.

Solo con un impegno collettivo e il sostegno di pratiche sostenibili potremo proteggere definitivamente il nostro territorio e garantire un futuro sano per le generazioni a venire. Questo fenomeno non dipende dai cambiamenti climatici, che pure in futuro aggraveranno la situazione. Fin dalla fine dagli anni ’90 abbiamo osservato un progressivo calo dei livelli lacustri, dovuto all’eccessivo consumo delle risorse idriche, che superano di almeno il 10% la naturale ricarica delle falde da parte delle piogge” – spiegano gli attivisti del Coordinamento ambientalista dei Castelli Romani – “Per questo i laghi si stanno abbassando, da quasi 40 anni, di 30 centimetri l’anno, e sono arrivati ormai a 6,5 metri in meno rispetto al loro livello naturale. I dati sono chiari: il nostro territorio consuma più acqua di quanto la pioggia riesca a ricaricare le falde, portando così a un abbassamento progressivo dei livelli dei laghi e delle falde“.

Non mancano poi altri aspetti critici segnalati dal Coordinamento ambientalista dei Castelli Romani, come le proposte che alcuni Comuni vorrebbero mettere in pratica. Un esempio è l’invio, nei laghi, di acqua depurata proveniente dai reflui urbani. “Queste misure, le cosiddette gronde, non solo non risolvono il problema, ma rischiano di compromettere l’equilibrio biochimico dei nostri laghi. L’acqua depurata è una risorsa preziosa, ma è ancora carica di sostanze che possono alterare la delicata catena trofica e l’ecosistema lacustre, portando a effetti negativi ben più gravi nel lungo termine. L’acqua depurata va utilizzata per coprire usi non potabili e diminuire i consumi, ma non può alimentare i laghi e le zone umide“, il punto degli attivisti.

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