Ma dove vanno davvero a finire gli abiti usati gettati nei cassonetti gialli? Lo abbiamo chiesto a Raffaele Guzzon, presidente del Consorzio Erion Textiles.
Ogni secondo l’equivalente di un camion carico di vestiti viene bruciato o portato in discarica.
A partire dal 1 gennaio 2022, come previsto dal decreto legislativo n.116/2020, in Italia è scattato l’obbligo della raccolta differenziata dei rifiuti tessili, anticipando la normativa europea che prevede l’attivazione della raccolta separata di questo tipo di rifiuto a partire dal 2025. L’obiettivo della normativa è quello di diminuire l’impatto ambientale e incentivare riutilizzo e riciclo.
Fino ad oggi nei comuni italiani è possibile trovare i cosiddetti cassonetti gialli dove possono essere inseriti, chiusi in buste, tutti i capi di abbigliamento e accessori, incluse biancheria intima, scarpe e borse ma anche stoffe, tende, lenzuola, tovaglie, coperte e tappeti.
Questi cassonetti hanno la funzione di provare a dare una seconda vita tramite riuso o riciclo a tali materiali. Dopo la raccolta, i rifiuti tessili vengono inviati presso gli opportuni impianti di trattamento e, quando possibile, la prima scelta è quella del riutilizzo di indumenti e accessori.
Ma negli ultimi anni ci sono state molte discussioni in merito a dove vanno realmente a finire gli abiti gettati all’interno di questi cassonetti (quelli con la scritta Caritas).
Un’inchiesta delle Iene del 2019 fatta dimostrò come, tracciando il percorso di un abito con il GPS, questo fosse finito in un’azienda che rivende questi abiti in tutto il mondo. Il responsabile dell’azienda spiegò che i vestiti venivano acquistati a 40 centesimi al kg, per poi rivenduti dai 3 ai 5 euro. Un business, quindi, nella mani di aziende del settore legate alla camorra?
Ma dove vanno davvero a finire gli abiti usati gettati nei cassonetti gialli? Lo abbiamo chiesto a Raffaele Guzzon, presidente di Erion Textiles, il nuovo Consorzio dedicato alla Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) nato per Assicurare una gestione efficiente del fine vita dei prodotti tessili finiti.
“Per quello che va a finire nei cassonetti gialli non in tutti i casi la gestione è completamente trasparente. Spesso gli abiti finiscono in una prima area dove vengono selezionati e la parte migliore ha una seconda vita. – spiega il presidente Guzzon – Sulla parte rimanente, invece, è lì che non è sempre garantito una corretta gestione, ed è lì che il sistema della Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) dovrà andare ad incidere per evitare che, fino all’ultimo straccio che si ritiene non utile per l’abbigliamento, possa, invece, avere un riutilizzo e diventi una risorsa anche per un altro settore industriale“.