Campionatori d’aria domestici, servono davvero?

I report secondo cui Milano è tra le prime città più inquinate al mondo si basano sull’integrazione dei dati di ARPA ma anche degli strumenti installati da privati cittadini. Il risultato finale non è attendibile, per vari motivi. 

Un caso che ha fatto molto discutere negli scorsi mesi è quello dei report diffusi da IQAir, società svizzera che produce depuratori d’aria e che periodicamente pubblica la classifica delle città più inquinate al mondo. Molto spesso, nelle prime posizioni, troviamo Milano, ma i dati non coincidono con quelli degli enti preposti al monitoraggio della qualità dell’aria come Arpa Lombardia. Il motivo? Oltre ai dati di Arpa, infatti, vengono raccolti anche quelli dei cittadini che possiedono piccoli campionatori d’aria installati sui loro balconi.

C’è una differenza sostanziale tra i due tipi di strumenti. Quelli di Arpa costano diverse decine di migliaia di euro a seconda di quanti e quali inquinanti devono misurare e rispondono a tutti i requisiti stabiliti dalle normative europee. Quelli domestici costano poche centinaia di euro e, a differenza di quelli più sofisticati, offrono dati istantanei e non relativi ad un periodo di tempo che generalmente è di 24 ore.

Inevitabile, quindi, che questi campionatori d’aria non possono essere considerati strumenti attendibili, per vari motivi. Ha senso, quindi, comprarne uno e misurare la qualità dell’aria intorno alle nostre case? Lo abbiamo chiesto al dottor Stefano Listrani, fisico e Collaboratore tecnico professionale di Arpa Lazio, dove si occupa proprio del monitoraggio della qualità dell’aria.

Tutti i limiti di legge riguardanti i vari inquinanti vengono definiti da normative che stabiliscono anche come devono essere effettuate le misurazioni. Le rilevazioni vengono svolte con strumenti abbastanza costosi, che consentono di verificare i dati con gli standard di riferimento e con altri metodi” – ha spiegato il dottor Listrani – “Le misurazioni svolte con questi campionatori ‘smart’ sono relativamente confrontabili con quelle svolte dalle Arpa o da altri organi con strumenti più sofisticati come le stazioni e le centraline di monitoraggio. Utilizzare questi dati e paragonarli con misure fatte con metodi di riferimento è un po’ complesso“.

Le nuove normative prevedono anche l’utilizzo di alcuni strumenti ‘smart’, ma devono corrispondere ad alcuni precisi test previsti direttamente dall’Unione europea. Parliamo di un ambito ancora in normazione, non c’è niente di ben definito all’atto pratico e ci sono vari classi di appartenenza per gli strumenti ‘smart’ che dipendono dall’incertezza delle misure” – ha aggiunto Stefano Listrani – “Questi campionatori ‘smart’ sono molto vari e possono essere più o meno attendibili, ce ne sono alcuni che costano anche qualche migliaio di euro. Tutto dipende da cosa ci poniamo come obiettivo: vogliamo solo determinare un andamento qualitativo o vogliamo determinare un dato e confrontarlo con i dati-limite? Nel primo caso si può fare, nel secondo la situazione diventa molto più complicata“.