In vista del Black Friday vi consigliamo il documentario di Netflix sullo shopping compulsivo, sulle tecniche manipolative delle aziende e sugli impatti ambientali legati agli sprechi del fast fashion.
Le tendenze del fast fashion, la cosiddetta moda veloce, inducono i consumatori ad acquistare costantemente, con tecniche manipolative e pubblicità mirata da parte delle aziende, alimentando un sistema che nuoce gravemente alla salute del nostro pianeta.
Arriva su Netflix il documentario “Buy Now! The Shopping Conspiracy”, scritto e diretto da Nic Stacey, che svela il mondo dietro le quinte di grandi brand influenti, denunciando l’impatto ambientale e umano delle pratiche subdole del fast fashion, delle grandi aziende tecnologiche e dei rifiuti elettronici nella crisi dell’inquinamento da plastica.
Il modello del fast fashion
Gli sprechi di vestiti fanno parte del modello di business del fast fashion. In tutto il mondo, l‘equivalente di un camion pieno di vestiti viene inviato in discarica o inceneritore ogni secondo. Ciò che rende questo spreco ancora più scandaloso è che il 30% di tutti i vestiti realizzati nel mondo non vengano mai venduti o indossati.
Le enormi quantità di rifiuti da sole sono motivo di preoccupazione: buttare via vestiti nuovi di zecca significa che il processo ad alta intensità di risorse richiesto per realizzare nuovi vestiti deve essere ripetuto più e più volte, man mano che i marchi aggiornano le loro scorte per il ciclo di moda successivo.
Dove finiscono i nostri abiti usati? In Ghana. Dal 2023 è la discarica di vestiti più grande al mondo: ne arrivano 15 milioni ogni settimana. Ve lo raccontiamo in questo magazine di TeleAmbiente.
Le tecniche manipolative dello shopping online
Il pagamento con un clic e la spedizione veloce, sono i due motivi che rendono comodo e pratico lo shopping online. Le aziende utilizzano anche tecniche pubblicitarie manipolative per promuovere i propri prodotti, in linea con le preferenze dei consumatori, in base agli acquisti precedenti o alla cronologia di navigazione. Questi annunci mirati seguono i clienti (e potenziali clienti, come amici e familiari) attraverso gli spazi digitali, creando un ciclo implacabile di consumo.
Più clicchi, più sei incoraggiato ad acquistare. Mentre queste strategie aumentano i profitti aziendali, alimentano anche un ciclo di consumo eccessivo che ha un grave impatto sull’ambiente. Questa tendenza è ancora più alimentata da quando sono in gioco gli algoritmi di intelligenza artificiale. Analizzando enormi quantità di dati sui consumatori, l’intelligenza artificiale aiuta le aziende a prevedere le tue esigenze di acquisto, indirizzando i consumatori, aumentando la probabilità di acquisti impulsivi e massimizzando i propri profitti, ma a spese del pianeta.
“Buy Now! The Shopping Conspiracy”, apre gli occhi su cosa noi consumatori possiamo fare. Produttori e rivenditori dovrebbero smettere di buttare o bruciare le loro eccedenze. I vestiti nuovi dovrebbero essere tenuti sugli scaffali più a lungo, venduti a negozi outlet o negozi dell’usato, donati, riutilizzati in altri prodotti o riciclati in nuovi indumenti.
Come consumatori, possiamo usare il nostro potere per chiedere a queste aziende di cambiare, riducendo anche il nostro impatto ambientale.
Quali sono i marchi di fast fashion?
Vestiti di medio-bassa fattura che si acquistano a prezzi contenuti nei negozi delle grandi catene. Sono queste le caratteristiche dei brand di fast fashion, e tra i più noti spiccano Benetton, H&M, Zara, Temu, Mango, Napapirji, OVS, Original Marines, Pull & Bear, River Island, Shein, Uniqlo.
Shein con i suoi vestiti super economici e alla moda è diventata uno dei più grandi rivenditori di abiti al mondo. A pagare il prezzo di questo successo sono i lavoratori del brand, come dimostra un’indagine condotta dall’organizzazione svizzera Public Eye all’interno degli impianti di produzione dell’azienda situati a ovest del villaggio di Nancun, nell’area di Guangzhou, nel sud della Cina. Ci sono operai che cuciono vestiti anche per più di dodici ore al giorno, per sei o sette giorni a settimana, e solo un giorno libero al mese.
Il nostro speciale VIDEO per capire l’impatto ambientale della fast fashion.