Un corto circuito pericoloso quello che riguarda la vendita all’estero da parte di aziende europee di pesticidi e sostanze tossiche vietate in Europa ma spedite in Paesi in cui la legislazione è più morbida. Tali sostanze, inevitabilmente, tornano nel continente come tracce di pesticidi vietati nei prodotti alimentari importati.
117 organizzazioni tra cui figurano Greenpeace, Amnesty International e ISDE, hanno redatto un Rapporto congiunto che mostra i doppi standard che permettono all’Ue di consentire di fatto la possibilità che aziende europee esportino prodotti tossici fuori dai confini dell’Unione. Tra i prodotti incriminati vi sono anche giocattoli per bambini, plastiche monouso e sistemi di intelligenza artificiale invasiva.
Brasile, Colombia, Ucraina e India sono i maggiori importatori di tali sostanze tossiche. Residui di pesticidi proibiti o non approvati sono stati trovati nei lime brasiliani venduti in otto Paesi europei o in frutta come mango e papaya vendute in Germania.
Se è vero che L’Unione ha una delle legislazioni più avanzate nella protezione della salute umana dalle sostanze tossiche è altrettanto vero che è ancora possibile produrre e commercializzare tali sostanze dal suo interno verso paesi in via di sviluppo. Il divieto riguarda la “vendita nel mercato europeo” lascia così aperta la possibilità di vendere il prodotto in altri mercati. Un comportamento che mina l’idea stessa di un futuro più sostenibile a livello globale.
“È scandaloso che i divieti dell’UE sulla vendita di prodotti tossici non vengano applicati quando questi sono destinati a Paesi extra-UE”, dichiara Federica Ferrario di Greenpeace Italia. “Dalla plastica usa e getta ai pesticidi, i politici europei sono consapevoli che questi beni sono dannosi per l’ambiente e per la salute delle persone, ma hanno scelto di anteporre il profitto al benessere delle comunità più vulnerabili che vivono in altre parti del mondo”.
Secondo i dati diffusi dall’Agenzia europea delle sostanze chimiche (ECHA) nel 2020 oltre 660mila tonnellate di sostanze illegali o severamente limitate sul continente europeo sono state commercializzate in Paesi extra-UE, mettendo a rischio la salute pubblica.
“È giunto il momento di porre fine a questo doppio standard che viola gli impegni ambientali dell’UE e scredita le ambizioni del Green Deal“, dichiara Stephanie Kpenou, Advocacy Officer per la riforma della politica commerciale presso l’Istituto Veblen. “Questa situazione ingiustificabile è un’ulteriore dimostrazione di come la politica commerciale dell’UE sia spesso concepita e implementata senza tenere conto degli impatti negativi sul clima, sulla biodiversità e sui diritti umani”.