Bangladesh, a Dacca il fiume più inquinato al mondo a causa del fast fashion VIDEO

La situazione dei fiumi in Bangladesh soffocati dal fast fashion. Il video pubblicato dal Progetto Happiness.

Una melma tossica che distrugge la flora e la fauna locali, costringendo i residenti a convivere con gravi problemi di salute. Questo disastro ambientale è il risultato dell’industria del fast fashion, un modello basato sulla produzione rapida e a basso costo degli abiti.

A mostrare le conseguenze sull’ambiente della moda usa e getta è un video pubblicato dal Progetto Happiness, lanciato da Giuseppe Bertuccio D’Angelo.

Siamo nel cuore di Dacca, dove vivono oltre 23 milioni di persone. Qui scorre il fiume Buriganga, trasformato in un vero e proprio fiume di vestiti, con rifiuti e scarti delle industri tessili.

Nel 1995 il Bangladesh ha emanato una legge che obbliga le attività industriali a utilizzare impianti di trattamento nel tentativo di salvare i fiumi dall’inquinamento, ma le regole spesso non vengono rispettate e i controlli non sono sufficienti.

Venti anni fa il fiume era in buone condizioni, un tempo si poteva fare il bagno, in molti vivevano di pesca. Ma ora tutto è cambiato: le attività di produzione di vestiti stanno contribuendo in modo significativo alla morte biologica del fiume.

Il Bangladesh è il secondo produttore al mondo di vestiti, e Dacca è il centro della produzione del fast fashion. Vi siete mai chiesti come mai quei capi che indossiamo sono così economici? Chi ne paga il reale prezzo? Milioni di bambini lavorano vengono sfruttati in queste fabbriche e in cambio di un paio di euro al giorno.

C’è chi in prima linea si occupa di garantire un futuro migliore ai minori sfruttati tramite l’adozione a distanza. L’organizzazione umanitaria Action Aid con il progetto Happy Home offre a bambine e ragazze di strada un luogo sicuro dove vivere, crescere e studiare. I bambini sostenuti a distanza in Bangladesh sono 1500, e possono focalizzarsi sullo studio e il gioco, lasciando da parte il lavoro.

Prendere coscienza del problema è il primo passo, ma non basta. I consumatori finali siamo noi, scegliere di non acquistare fast fashion fermerebbe quel sistema di produzione che mette a rischio la tutela dell’ambiente e la vita dei lavoratori.

L’impatto ambientale della fast fashion

L’industria della moda è considerata tra le più impattanti al mondo. Gli acquisti di prodotti tessili nell’UE nel 2020 hanno generato circa 270 kg di emissioni di CO2 per persona. Questo significa che i prodotti tessili consumati nell’UE hanno generato emissioni di gas serra pari a 121 milioni di tonnellate (dati Agenzia europea dell’ambiente).

I brand low cost producono annualmente milioni di tonnellate di rifiuti tessili sintetici, difficili da smaltire anche a causa delle sostanze chimiche nocive presenti al loro interno.

Secondo alcune stime per fabbricare una sola maglietta di cotone occorrano 2.700 litri di acqua dolce, un volume pari a quanto una persona dovrebbe bere in 2 anni e mezzo.

Inoltre, lavare prodotti sintetici ha portato a un accumulo pari a mezzo milione di tonnellate di microplastiche sul fondo degli oceani ogni anno.

Quali sono le alternativa alla fast fashion? Leggi QUI

Il report choc sul colosso del fast fashion

“Lavoro tutti i giorni dalle 8 del mattino alle 22.30 di sera e mi prendo un giorno libero ogni mese. Non posso permettermi altri giorni liberi perché costa troppo”. A dirlo è uno dei lavoratori del noto brand di moda Shein, colosso cinese del fast fashionintervistato dall’organizzazione svizzera Public Eye per una nuova indagine condotta all’interno degli impianti di produzione dell’azienda situati a ovest del villaggio di Nancun, nell’area di Guangzhou, nel sud della Cina.

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Ue pronta a bloccare l’invasione dello shopping online cinese

La Commissione europea intende eliminare la soglia attuale di 150 euro al di sotto della quale gli articoli possono essere acquistati in esenzione doganale.

Nel 2023 sono arrivati nell’Ue da paesi terzi due miliardi di pacchi con un valore dichiarato inferiore a 150 euro. Gli enormi volumi di commercio elettronico stanno mettendo a dura prova i limiti delle dogane. Grazie a questa pratica, i due colossi del fast fashion riescono a offrire abiti a partire da soli 8 dollari e orologi intelligenti a 25 dollari agli acquirenti di tutto il mondo.