Una decisione possibile sia per fattori ambientali che economici. L’Italia, invece, appare arenata.

Una grande notizia dall’Australia: è stata anticipata a metà 2025 la chiusura della più grande centrale a carbone del Paese, quella di Eraring, a Nord di Sydney. A rendere possibile questo grande passo in avanti sono motivi ambientali, ma anche economici: la centrale a carbone non è più conveniente a causa della drastica riduzione dei costi delle energie rinnovabili. Per l’Australia, da sempre uno dei Paesi più inquinanti al mondo con un’economia basata sul carbone, si tratta di un passo storico.

 

La centrale a carbone di Eraring è aperta da quasi 40 anni ma, con il crollo dei costi delle rinnovabili, ora rischia di diventare anche un pessimo affare, oltre ad una minaccia per l’ambiente. Per questo Origin, il produttore di energia che la gestisce, ha deciso di accelerare la dismissione dell’impianto, nonostante il parere contrario del Governo conservatore guidato da Scott Morrison. Poco convinti della decisione anche i sindacati dei lavoratori, che temono drammatiche ripercussioni sull’occupazione.

 

A spiegare la situazione è Phys.org. Nel Paese si è già scatenato un dibattito: da un lato c’è chi plaude all’iniziativa e invita a spingere ancora di più sulle rinnovabili, dall’altro c’è chi teme la perdita di posti di lavoro, carenze energetiche e una mancata riconversione delle centrali attualmente in uso. Intanto, però, l’Australia risponde alle critiche arrivate negli ultimi anni dalla comunità internazionale e ribadite alla Cop26 di Glasgow.

 

L’Italia ha avviato un notevole piano di decarbonizzazione, ribadito anche a Glasgow. Il piano, però, è fermo alla teorizzazione. Già nel 2019, il Piano nazionale integrato per l’energia e per il clima aveva stabilito la dismissione o la riconversione di tutte le centrali a carbone entro il 2025. All’atto pratico, però, esistono ancora sei centrali a carbone attive in Italia (due in Sardegna, una nel Lazio, una in Veneto, una in Friuli-Venezia Giulia, una in Puglia e una in Liguria), gestite da più aziende. Il problema, però, è che per dismettere le centrali (o per riconvertirle in centrali a gas) occorrono varie autorizzazioni successive e, in alcuni casi (come ad esempio nel Lazio), le leggi regionali impediscono la riconversione al gas e obbligherebbero alla dismissione degli impianti.

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Nel pantano in cui si ritrova attualmente l’Italia, potrebbero poi emergere gli stessi problemi di cui si discute in Australia, a cominciare dalle ripercussioni sull’occupazione. C’è poi, tra le associazioni ambientaliste, chi si oppone alla riconversione al gas e chiede la dismissione totale degli impianti. Sarà difficile trovare una sintesi tra le varie posizioni, lo sarà ancora di più in tempo per rispettare la scadenza del 2025.