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Allarme Artico: emette più CO2 di quella che riesce ad assorbire

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Tra incendi, temperature sempre più alte (e che aumentano più velocemente rispetto al resto del Pianeta), scioglimento dei ghiacci, umidità e piovosità in aumento, uno dei principali hotspot climatici della Terra è sempre più in sofferenza.

Allarme sempre maggiore da uno dei principali hotspot climatici del nostro Pianeta: l’Artico. La Regione che comprende il Polo Nord, infatti, è una delle aree più esposte agli effetti del riscaldamento globale, come testimoniano anche i dati sull’anomalia delle temperature dall’inizio delle rilevazioni scientifiche. L’Artico, infatti, è una delle aree che si sta riscaldando di più, e più velocemente, di tutta la Terra. E come se non bastasse, ci sono notizie poco confortanti sul fronte dell’anidride carbonica (CO2).

Nonostante la scarsa di densità di popolazione, l’impatto diretto dell’uomo sulla zona non è particolarmente ridotto. A causa, principalmente, degli incendi boschivi, l’Artico sta infatti emettendo più anidride carbonica di quanta riesca ad assorbirne. Lo conferma un rapporto, recentemente pubblicato dall’Amministrazione nazionale oceanica e atmosferica statunitense (National Oceanic and Atmospheric Administration, NOAA), agenzia del Dipartimento del Commercio di Washington. Tra le sostanze prodotte dai roghi (concentrati soprattutto nell’area della tundra) e le temperature sempre più alte, la concentrazione di CO2 nell’Artico sta raggiungendo livelli preoccupanti, e l’ecosistema non riesce più a immagazzinare quantità tali da consentire un bilancio positivo.

“Questo fenomeno ormai accertato finirà per aggravare gli effetti del cambiamento climatico, sull’Artico e sul resto del Pianeta. Questo è un altro segno, previsto dagli scienziati, delle conseguenze di una riduzione inadeguata dell’inquinamento causato dall’utilizzo di combustibili fossili“, ha spiegato Rick Spinrad, responsabile della NOAA. Della stessa opinione anche Anna Virkkala, ricercatrice del Woodwell Climate Research Center e co-autrice del rapporto: “Quello che sta accadendo nell’Artico non sarà limitato all’Artico. Parliamo di una regione che svolge un ruolo importante nel sistema climatico globale, per via degli enormi serbatoi di carbonio naturalmente presenti nei suoi suoli“.

Il ruolo della tundra, all’interno dell’ecosistema complessivo dell’Artico, è particolarmente importante e delicato. Si tratta infatti di un ambiente ecologico composto da scarsa vegetazione e dal permafrost, un tipo di terreno ghiacciato che può contenere maggiori quantità di CO2 rispetto ad altri tipi di suolo (in particolare, può arrivare a contenere due volte la quantità di anidride carbonica presente nell’atmosfera e tre volte quella la quantità emessa dalle attività umane dal 1850 ad oggi). La sua preziosità, tuttavia, sta scemando col tempo, sempre a causa del cambiamento climatico e in particolare dell’aumento delle temperature legato al riscaldamento globale.

Negli ultimi decenni, infatti, gli incendi nella tundra sono aumentati costantemente, sia dal punto di vista quantitativo che della loro intensità, e nel 2023 hanno raggiunto un livello record. Nonostante la scarsa vegetazione, gli incendi comunque bruciano combustibile naturale e rilasciano sempre più anidride carbonica in atmosfera. Non solo: i roghi sempre più frequenti e devastanti alterano anche i vari strati isolanti del terreno, con la conseguenza di una netta accelerazione del disgelo a lungo termine del permafrost e, in seguito, anche di un aumento di emissioni di CO2 e di metano, due dei principali gas che intrappolano il calore nell’atmosfera.

Gli incendi che impattano sull’Artico, tra l’altro, hanno avuto origine praticamente in tutto il mondo, se consideriamo i tanti Stati che hanno parte del loro territorio al di sopra del Circolo Polare Artico. In particolare, gli autori del rapporto hanno evidenziato gli effetti della drammatica stagione degli incendi, assolutamente senza precedenti, vissuta dal Canada nel 2023: “In totale sono state emesse in atmosfera quasi 400 milioni di tonnellate di anidride carbonica, una quota superiore alle emissioni annuali di CO2 di tutti i Paesi del mondo, ad eccezione di Cina, Stati Uniti, India e Russia“.

Se il 2023 è stato l’annus horribilis sul fronte incendi ed emissioni di CO2, quest’anno la situazione non è migliorata di molto. Anzi, nel 2024 si è arrivati al secondo dato più alto di sempre per quanto riguarda le emissioni legate agli incendi a Nord del Circolo Polare Artico. Altri dati confermano un trend assolutamente negativo: un esempio è quello delle temperature dell’Artico, sia superficiali che ad una profondità di almeno 15 metri nel permafrost. Tra il 2001 e il 2020 sono aumentate costantemente, e la tendenza appare consolidata anche negli ultimi anni. Questo perché l’Artico è soggetto ad un fenomeno noto come amplificazione (si sta riscaldando molto più velocemente rispetto alle medie latitudini) e dovuto ad una serie di fattori (tra cui la perdita della copertura nevosa e del ghiaccio marino, oltre al riscaldamento degli oceani).

Alcuni potrebbero obiettare che l’aumento delle temperature, legato al riscaldamento globale, può stimolare la produttività e la crescita delle piante, fondamentali per l’assorbimento di anidride carbonica. Tuttavia, le temperature sempre più alte anche in una delle zone più fredde della Terra causano lo scongelamento del permafrost. Con la conseguenza allarmante di un bilancio negativo tra la CO2 immagazzinata e quella prodotta nella tundra. “Questi segnali sono assolutamente allarmanti. Molte di queste soglie di impatto negativo sugli ecosistemi, una volta raggiunte, sono di fatto irreversibili” – ha spiegato Brenda Ekwurzel, climatologa iscritta alla ong statunitense Union of Concerned Scientists – “Le emissioni del permafrost probabilmente non supereranno mai quelle dei combustibili fossili, ma comunque costituiscono una quota importante. Ed è per questo che non possiamo non tenerne conto“.

Oltre ad essere sempre più caldo, l’Artico sta diventando anche sempre più umido. Lo confermano anche gli ultimi dati diffusi dalla NOAA, con l’estate del 2024 che è stata la più piovosa mai registrata. Oltre alle conseguenze, difficilmente immaginabili, di una crisi climatica sempre più grave e preoccupante, ci sono impatti diretti anche sulle comunità indigene che abitano da sempre l’Artico. L’erosione delle coste, accelerata dall’aumento dell’umidità e della piovosità, minaccia infatti tutti coloro che dipendono dalla stabilità dei ghiacci e da pratiche di caccia e pesca tradizionali.