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Animali, la lotta dei cittadini contro gli allevamenti intensivi: no ai lager dei polli

In un comune delle Marche, un comitato di cittadini si batte contro la costruzione di un impianto che “ospiterebbe” più di due milioni di polli in 12 capannoni.

In meno di un mese hanno costituito un comitato, convogliato avvocati ed esperti, e fatto partire le prime diffide. Sono i cittadini di San Lorenzo in Campo, in provincia di Pesaro e Urbino: da un giorno all’altro hanno scoperto che dietro le loro case sarebbe sorto un maxi allevamento di polli. Per la precisione, 12 capannoni per un totale di 2.200.000 polli l’anno: 666 animali a testa, per ognuno dei 3.300 abitanti.

L’allevamento sarà di proprietà di Fileni, uno dei colossi italiani delle carni bianche – primo per quella biologica –e orgogliosamente marchigiano. La storia del patron, Giovanni Fileni, 79 anni,è di quelle che vengono da un’Italia che ha ottenuto la rivalsa a suon di intuito e fatica. Nato a Monsano, vicino Ancona, famiglia di mezzadri, con la licenza elementare in tasca si mette a fare il meccanico. Parallelamente alleva polli, e nel giro di un anno  apre un allevamento da 5mila animali da vendere porta a porta. In cinquant’anni di lavoro, mette in piedi un’azienda da 2mila dipendenti e un fatturato di oltre 400 milioni di euro.

La casa più vicina al futuro allevamento è di Piergiorgio, suocero del presidente del comitato Andrea Landini. Per l’assemblea sono tutti radunati al bar Giuliano. Landini prende la parola. “Abbiamo letto il progetto di Fileni: è scritto tutto nero su bianco. Sei capannoni ‘convenzionali’, con 18 polli per metro quadro, che scendono a cinque per metro quadro nei restanti sei capannoni destinati all’allevamento biologico”.

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Landini riprende: “L’allevamento produrrà ammoniaca, metano, polveri sottili. Il sito ipotizzato è in una posizione depressa rispetto alle colline circostanti: non passano i venti, gli odori ristagneranno. Un cittadino sentirà puzza di fogna in casa per 876 ore all’anno”. Dall’azienda garantiscono che gli odori verrebbero avvertiti solo nei giorni di carico degli animali per il macello, e che gli uffici pubblici preposti alle autorizzazioni hanno analizzato tutta la situazione. “Ma per inquinanti come l’ammoniaca – ribatte Landini – non esistono parametri di legge”.

Massimo Fileni che ha preso le redini dell’azienda, con la sorella Roberta, è pronto ad ascoltare le ragioni di chi non vuole oltre 2 milioni di polli dietro casa. “Quel posto non è un’isola, bensì un pezzo di un sistema complesso, che è la Fileni, di cui il biologico è il nostro fiore all’occhiello”, ci dice. È la prima volta che Fileni si trova a gestire una situazione conflittuale per l’apertura di un impianto.

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E proprio nelle loro Marche, dove sono presenti con altri due mega allevamenti da 2.500.000 di polli ciascuno. L’azienda vuole continuare a investire: 30 milioni di euro per il biennio 2019-2020, nonostante il
mercato italiano sia saturo, con la produzione di carne di pollo che supera il 105% del nostro fabbisogno. Ciò significa che alcuni territori italiani si prestano a produrre carne per l’estero, pagandone però le conseguenze ambientali: secondo la Fao, gli allevamenti, a causa delle deiezioni degli animali, sono la più importante fonte di inquinamento delle falde acquifere.

A Schivenoglia, qualche migliaio di abitanti in provincia di Mantova, un referendum è riuscito a fermare un mega allevamento di suini. “Da noi il progetto è stato pubblicato nell’albo pretorio nei tempi previsti – spiega il sindaco di San Lorenzo in Campo, Davide Dellonti – e, per usare il referendum come strumento consultivo, manca il regolamento… però mai dire mai.”

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Ora il sindaco attende gli ultimi pareri e documenti per definire la pratica, che poi verrà chiusa dalla conferenza dei servizi. Per il comune, la Fileni potrebbe mettere sul piatto come “compensazione” circa 250.000 euro. Soldi che finiscono in fretta, mentre le conseguenze di oltre due milioni di polli restano nel paesaggio e nel territorio. E, per questo, “non c’è compensazione che tenga”.