Artemisia Xakriabà, 19 anni, rappresenta i due gruppi minacciati maggiormente dalla distruzione. I giovani e le tribù indigene.
Il mese scorso, mentre il record di incendi nella Foresta amazzonica ha minacciato di spingere sempre più la foresta verso la distruzione, la diciannovenne Artemisia Xakriabà ha implorato al mondo di realizzare cosa la rapida distruzione del Brasile indichi per gli indigeni come lei.
“Stiamo combattendo per le nostre vite” ha detto Artemisia in un discorso durante lo sciopero climatico a Manhattan, non distante dalle Nazioni Unitedove il presidente brasiliano Jair Bolsonaroha definito cambiamento climatico “una cospirazione globalista”, negando i danni causatidagli incendi in Amazzonia e dando la colpa di questi agli indigeni che vivono nella zona.
Nessuno può spiegare meglio l’urgenza della crisi che sta vivendo il pianeta di Artemisa, un membro di due delle comunità che hanno prodotto i leader più fieri nella lotta al cambiamento climatico e alla distruzione dell’ambiente.
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Lei è una teenager in un mondo dove milioni di giovani hanno accusato i più anziani per il loro atteggiamento verso i cambiamenti climatici. Ed è un membro della tribù Xakriabà, una delle comunità che ha visto i gli effetti maggiori della guerra all’ambiente, che ha fatto si che le tribù del Brasile e di tutto il mondo combattessero non solo per l’ambiente ma per le proprie vite.
“Stiamo combattendo per i nostri territori sacri, ma siamo stati perseguitati, minacciati assassinati solo per proteggere i nostri territori. Non possiamo accettare una sola goccia di sangue in più” ha detto Artemisa.
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Artemisa è venuta a New York per chiedere aiuto in nome di tutti i giovani brasiliani e per chiedere protezione per gli indigeni di tutto il mondo la cui battaglia per salvare il mondo è fortemente legata da una connessione tra terra e foresta “Spesso diciamo che la natura è nostra madre perché ci da la vita e il cibo. Abbiamo il dovere di difenderla”.
Artemisa aveva solo 7 anni quando lei ed altri studenti della tribù Xakriabà hanno aiutato a riforestare 15 aree vicino la propria terra, nell’area sud est di Minas Gerais. In Brasile, 300 tribù occupano il 13% del paese e hanno aiutato a proteggere più di 400 milioni di km2 della Foresta amazzonica dalla deforestazione.
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Ma questo vuol dire che nessuno è più a rischio dagli effetti dei cambiamenti del clima e della distruzione dell’ambiente che gli indigeni, e in Brasile, sono diventati ancora più vulnerabili a causa del passo indietro del governo su ambiente e protezione dei tribali e dell’aumento del tasso di deforestazione.
Il presidente Bolsonarorappresenta un’altra enorme minaccia. Nei suoi 30 anni al Congresso brasiliano l’ex ufficiale dell’esercito ha costantemente preso di mira gli indigeni. Nel 1998, Bolsonaro ha definito “una vergogna” che i militari brasiliano non siano stati efficienti come le forze degli Stati Uniti nello sterminare gli Indiani. Nel 2015 ha detto che gli indigeni brasiliani non dovrebbero avere delle zone protette all’interno del paese perché “non parlano la nostra lingua, non hanno denaro e cultura”.
A luglio i minatori hanno invaso una riserva indigena e ucciso il capo della tribù. In risposta, i membri della comunità Wajapi hanno chiesto protezione al governo per l’invasione delle proprie terre dagli invasori armati. Bolsonaro ha messo in dubbio il loro appello. “Bolsonaro è responsabile per questa morte”, ha detto duramente commentato un senatore dell’opposizione al New York Times.
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In Brasile vivono più tribù incontaminate che in ogni altro paese e in passato sono stati fatti sforzi per proteggerle. “Tutte le denunce che hanno fatto gli indigeni sono vere” ha detto Dinaman Tuxa, il coordinatore esecutivo di Articulation of Indigenous Peoples of Brasile dopo il discorso di Bolsonaro alle Nazioni Unite.
Con lo scoppio degli incendi in Amazzonia, l’attivismo indigeno si è intensificato. Artemisa era fra le migliaia di protestanti che hanno partecipato alla prima “Marcia delle donne indigene”a Brasilia, capitale del Brasile, per protestare contro le politiche distruttive di Bolsonaro e il suo tentativo di rimuovere la protezione per gli indigeni e le loro terre.
È il primo caso di uno protesta delle donne tribali del Brasile e della Bolivia, che ha affrontato anche essa i devastanti incendi dell’anno, supportati da protestanti di tutto il continente.
Da quel giorno la protesta continua ad andare avanti. Dopo questa marcia, una coalizione di organizzazioni di giovani tribali dal Sud America e Asia, dove le tribù stanno affrontando la minaccia della deforestazione, ha scelto Artemisa come rappresentante alla marcia di settembre a Washington e New York. Nella capitale lei ha incontrato i membri del Congresso per discutere degli incendi in Amazzonia e dell’urgenza di adottare misure per contrastare i cambiamenti climatici.
A New York, si è unita ad un gruppo di leader tribali che sono giunti per contrastare non solo Bolsonaro ma le corporazioni e le multinazionali che hanno messo a rischio l’Amazzonia e l’intero pianeta.
Nel Brasile, alcuni dei leader politici più giovani si sono uniti agli attivisti come Artemisa, nel contrastare il rifiuto di Bolsonaro di prendere seriamente in considerazione la questione ambientale. Tabata Amaral, rappresentante del Congresso di soli 25 anni, ha recentemente preso parte ad un evento negli Stati Uniti chiedendo scusa per il rifiuto di Bolsonaro nel prendere provvedimenti contro i cambiamenti climatici e ha promesso che i giovani brasiliani si alleneranno ai coetanei di tutto il mondo nel chiedere azioni immediate del governo sul problema.
“Questo è il nostro futuro, e anche se Bolsonaro e la maggioranza al Congresso può farla franca e ignorare cosa sta succedendo nel mondo, in 10, 20 o 30 anni il mondo sarà completamente diverso se non facciamo nulla. Non è un’opzione per me, non lo è per loro. È un problema per il nostro futuro. Siamo gli unici che avranno un’opportunità ma non abbiamo tempo per aspettare, dobbiamo agire ora” ha spiegato Amaral in un’intervista all’Huffpost.
“Non so se siamo riusciti a catturare l’attenzione del mondo alla nostra causa, ma credo che sia la nostra missione più importante. Quindi continueremo a combattere. Dobbiamo andare avanti, senza interessarci di cosa decida il presidente, sia che ci supporti o meno”.