Commissariata per sfruttamento del lavoro. Alviero Martini avrebbe massimizzato i profitti ricorrendo a “opifici cinesi” e “facendo ricorso a manovalanza in nero e clandestina”.
L’azienda Alviero Martini, specializzata in borse e accessori conosciuti ed identificati per le mappe disegnate sui tessuti, è stata posta in amministrazione giudiziaria dal Tribunale di Milano.
A seguito di un’inchiesta dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro, l’azienda è stata “ritenuta incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo“. La casa di moda avrebbe massimizzato i profitti ricorrendo a “opifici cinesi” e “facendo ricorso a manovalanza in nero e clandestina“, come si legge nel provvedimento della sezione misure di Prevenzione del Tribunale di Milano.
Ma né la società né i suoi vertici sono indagati in quanto l’abuso di manodopera sarebbe imputabile alla ditta appaltatrice a cui era stata affidata la produzione di borse e accessori, dichiaratamente esternalizzata. È risultato illegittimo in ogni caso il fatto che la società non si fosse mai curata di effettuare alcuna ispezione o controllo su dove venisse prodotta la sua merce.
Secondo le indagini l’azienda si sarebbe invece fidata della sola dichiarazione formale delle aziende a cui si affidava, in cui si diceva che non avrebbero appaltato ulteriormente il lavoro ad altri senza autorizzazione. Secondo l’accusa questo avrebbe agevolato, anche se indirettamente, lo sfruttamento dei lavoratori da parte di chi gestiva i laboratori, che invece sono sotto indagine.
Dopo varie verifiche da parte dei carabinieri sono state rilevate gravi condizioni di lavoro irregolare. Persone, in gran parte cinesi, che ci lavoravano in nero, senza un contratto legale, senza un regolare permesso di soggiorno, in condizioni di sfruttamento e con violazioni delle norme di sicurezza. Alcuni lavoratori venivano anche ospitati in dormitori abusivi. Per sei delle aziende coinvolte nell’indagine è stata disposta la sospensione dell’attività.
Se il problema dello sfruttamento dei lavoratori e dei loro diritti viene spesso ormai attribuito alle grandi catene di fast fashion, quelle che producono capi di scarsa qualità, venduti a basso prezzo, identificati come usa e getta dato il loro breve ciclo di vita, in questo caso parliamo invece proprio di un’azienda italiana fondata nel 1991 a Milano, un brand conosciuto in tutto il mondo, che dovrebbe essere il primo a tenere alti valori come produzione, trasparenza e made in Italy.