Quale futuro per l'agricoltura mondiale. Il Magazine

Quale futuro per l’agricoltura mondiale. Il Magazine

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Qual è il futuro dell’agricoltura? Nel nostro Magazine proviamo a rispondere a questa domanda.

E lo facciamo partendo dal metodo biologico più integralista; la biodinamica. In Italia non è consentito finanziare la ricerca sulla biodinamica con fondi statali ma la normativa europea lo consente per cui si crea un cortocircuito. Abbiamo visitato un’azienda biodinamica a Labico per capire cosa spinge un agricoltore a scegliere questo approccio.

Domenico Genovesi, dell’Associazione Agricoltura Biodinamica, ha dichiarato: “Io considero che l’alimentazione è innanzitutto assumere forze vitali, questo è l’approccio tipicamente utilizzato da Steiner fin dall’inizio e per ricevere diciamo nell’alimentazione forze vitali io devo fare in modo che il terreno su cui crescono le piante sia un terreno vitale. L’approccio della biodinamica è esattamente questo cioè rivitalizzare il suolo grazie all’uso del cornoletame per l’equilibrio nutrizionale delle piante che con le loro radici si vanno a prendere i nutrienti necessari solo se effettivamente decidono che gli servono e non in maniera forzata. Questo produce dei cibi che sono equilibrati, sono ricchi di forze vitali e quindi grazie a questo, consumare prodotti biodinamici significa mantenersi meglio in salute. Tra l’altro frutta e verdura biodinamica sono sicuramente più conservabili della frutta biologica e convenzionale, dal momento della raccolta durano di più nel tempo e questa è una prova visibile e certa della loro maggiore vitalità.

Parte del mondo scientifico rifiuta la validità del metodo biodinamico. Sulle motivazioni di questo no abbiamo intervistato Andrea Sonnino, Presidente della FIDAF: “Noi abbiamo sempre sostenuto che non esistono evidenze scientifiche dei vantaggi, non solo non esiste evidenza di un possibile vantaggio ma esiste evidenza scientifica che non esiste vantaggio quindi siamo nel campo  della magia e dell’esoterismo. Crediamo che sia possibile produrre in maniera sana e rispettosa dell’ambiente utilizzando in maniera razionale anche prodotti chimici di sintesi, ma esiste l’agricoltura biologica che ha  rinunciato all’utilizzo dei prodotti chimici di sintesi e che è in essere in tutto il mondo e in gran parte d’Europa per cui ecco non vedo la necessità di cercarne altre. Sicuramente stiamo cercando continuamente attraverso la ricerca di trovare metodi alternativi di difesa e di protezione delle piante agrarie o degli animali. Stiamo cercando e sono già state trovate molte soluzioni per gestire la fertilità del suolo in maniera razionale e sistemica e quindi ecco i sistemi esistono in agricoltura integrata, in agricoltura rigenerativa, in agricoltura biologica mentre invece è dimostrato che nell’agricoltura dinamica non abbiamo dei vantaggi che sono che siano tangibili.

Ma qual è il futuro dell’agricoltura? Una prima risposta ci viene dalla parola Akis (Agricultural Knowledge and Innovation System);un sistema che mira a condividere conoscenza e innovazione in ambito agricolo. L’Akis non è altro che uno spazio composto da istituzioni e persone che lavorano e si cambiano informazioni al fine di rendere l’innovazione e la risoluzione di problemi in agricoltura più semplice. La Politica Agricola Comune europea punta su questo strumento per armonizzare la messa a terra di regole e incentivi che la caratterizzano. proprio a questo tema è stato dedicato un convegno tenutosi a Roma presso la Città dell’Altra Economia. Abbiamo intervistato la ricercatrice del CREA Simona Cristiano sulle prospettive di questo approccio: “L’Akis è l’insieme di soggetti, di persone, di infrastrutture della ricerca e non, ma anche delle interreazioni, le interconnessioni che si creano tra questi soggetti al fine di creare conoscenza o ricombinare conoscenza che da tutti quanti può arrivare col fine ultimo di creare innovazione. Innovazione significa soprattutto soluzioni a portata di aziende agricole, a portata di aree rurali e che risolvono problemi effettivi delle aziende agricole e quindi l’Akis è un sistema di conoscenze, di innovazione, dinamico,  interattivo, resiliente anche. Si sta puntando a considerarlo come un ecosistema proprio per l’idea che sia resiliente perché al suo interno queste dinamiche tra soggetti, infrastrutture e interazioni di fatto creano queste dinamicità e la resilienza e le capacità per reagire a tutte le emergenze che possano insorgere o comunque per reagire ovviamente a bisogni di modernizzazione dei sistemi agricoli.”

Un’altra parola da considerare è agroecologia; un approccio all’agricoltura che si basa su sostenibilità, resilienza e rispetto dei popoli e dell’ecosistema in cui vivono. Esperto di agroecologia è Stefano Canali, ricercatore del CREA che ha dichiarato a TeleAmbiente: “La sostenibilità è evidentemente considerata in diversi ambiti, la sostenibilità è quella ambientale, è quella sociale, è quella economica, quindi poi al cittadino, al consumatore o meglio al cittadino quello che vede come vantaggio, che dovrebbe percepire come vantaggi è un sistema produttivo che dà prodotti di maggiore qualità, una qualità anche ambientale, una qualità sociale che è fatta quindi di lavoro senza lo sfruttamento, di parità di genere, di rapporti più equilibrati tra le campagne e le città, senza per questo dimenticare che c’è una forte necessità di mantenere il reddito degli agricoltori che in questo  momento, anzi negli ultimi decenni e forse anche per effetto dei modelli agricoli intensivi e specializzati è fortemente sotto pressione e facendo in modo quindi che i valori aggiunti che si producono nel sistema agroalimentare siano più equamente distribuiti. Non dobbiamo mai porre limite alle attività di ricerca, dobbiamo esplorare tutte le possibilità, di molte conosciamo già i punti di forza e i punti di debolezza perché sono soluzioni e strategie che abbiamo adottato da più di 50 anni e di altre conosciamo di meno e quindi su queste evidentemente l’attività della ricerca e dei ricercatori deve essere promossa e favorita, l’agroecologia è una di queste.

L’ultima parola chiave è dialogo. Ciò è vero a livello macro, con le popolazioni autoctone che rivendicano il loro coinvolgimento diretto nella gestione delle pratiche millenarie di protezione della biodiversità. Altrettanto assente è il dialogo tra diversi approcci all’agricoltura anche in Italia. La conseguenza di questa incomunicabilità è la perdita di tempo prezioso per elaborare delle nuove tattiche capaci di salvare pezzi di biodiversità e preziose tradizioni millenarie di coltura e salvaguardia dei terreni.

Ormai ad ogni livello è sempre più chiaro che le innovazioni in agricoltura devono essere non solo accessibili ma anche accettabili. È quindi necessaria una “mediazione culturale” che porti a un linguaggio condiviso tra ricerca, amministrazioni e agricoltori.

Elisa d’Aloisio, titolare dell’azienda Il Molinaccio, ha dichiarato a TeleAmbiente: “La capacità di ampliare la conoscenza delle parole, del significato che queste hanno per le diverse figure è fondamentale per comprendere e quindi dialogare veramente altrimenti diventa uno strumento sterile spesso abusato con  narrative fatte ad hoc per poter poi denigrare o esaltare a seconda della propria convenienza.”

 

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